Dicono di essere tutti hacker bianchi quelli intervenuti all'Hackathon del calcio in corso in queste ore al polo di Povo dell'università di Trento: una maratona tecnologica per studiare e risolvere problemi complessi del mondo digitale legati al mondo del pallone. Gli hacker bianchi sono i "buoni" nella battaglia quotidiana contro intrusioni e incursioni nei sistemi più sofisticati e che mettono in pericolo i nostri dati, messi a segno dai cattivi, gli "hacker neri".
"Un hacker è innanzitutto una persona che studia e ha metodo", ci spiega Alessandro, vent'anni o poco più, che di notti insonni davanti al computer sembra averne passate parecchie nella sua vita. Ma che nega recisamente ogni stereotipo: non vivono isolati, non vogliono violare le piattaforme tecnologiche né impossessarsi dei dati sensibili questi hacker in erba. Vogliono semplicemente risolvere problemi. "Per farlo - spiega - bisogna essere in grado di organizzare se stessi. Darsi degli obiettivi, cercare di risolverli. E poi, non fermarsi".
Ma per essere un hacker, spiega Giuseppe, non è necessario essere uno smanettone. Ventidue anni, vicino a una laurea triennale in campo economico, è emozionatissimo di partecipare.
Il giovane "quasi manager" assicura di non avere alcuna intenzione di distruggere il mondo del calcio, ma che il suo compito sarà quello di analizzare i big-data, cioè le migliaia di informazione che gli saranno messe a disposizione, per elaborare strumenti che limitino i comportamenti illegali e avvicinino sempre più tifosi al mondo del pallone. "Fra noi partecipanti - ci dice - c'è chi si intende di informatica, chi di economia, chi di sociale. Io - afferma - cercherò di proporre una via per migliorare il rapporto fra la FIGC ed i sui tesserati".
Saranno di sicuro hacker buoni, questi ragazzi, e la faccia cattiva non l'hanno davvero. Ma mentre scende il buio sul polo universitario trentino, illuminato tra i monti, si fatica a non pensare che la notte non sia per le loro il momento congeniale per far volare le loro menti...
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