La pandemia ha fatto scoprire all'Italia il concetto di smart working, ma qual è il futuro del lavoro agile? Lo raccontano i risultati della ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano*, presentata oggi durante il convegno "Rivoluzione Smart Working: un futuro da costruire adesso". I dati mostrano come, rispetto all'apice della crisi nel 2020, quest'anno l'utilizzo del lavoro agile abbia visto una netta flessione, dovuta alle vaccinazioni e al ritorno verso una normalità. Così nel corso del 2021 si è passati da 5,37 milioni di smart worker nel primo trimestre dell'anno a 4,07 milioni nel terzo trimestre, ma è un trend che potrebbe nuovamente cambiare nel post pandemia.
Secondo la ricerca, infatti, le previsioni parlano di 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle PMI, 970mila nelle microimprese e 680mila nella PA. Lo smart working rimarrà o sarà introdotto nell'89% delle grandi aziende, dove aumenteranno sia i progetti strutturati sia quelli informali, nel 62% delle PA e nel 35% delle PMI. Che vi sia stata, in ogni caso, una crescita del lavoro agile appare evidente dal fatto che esistano oggi progetti di smart working strutturati o informali presenti nell'81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle PMI (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid). "La pandemia ha accelerato l'evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e ha cambiato le aspettative di imprese e lavoratori, anche se emergono delle differenze fra le organizzazioni che rischiano di rallentare questa rivoluzione" ha dichiarato Mariano Corso, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working.
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