Cala ancora, per l'undicesimo anno consecutivo, la libertà di Internet nel mondo. Maglia nera alla Cina, i peggioramenti maggiori nel Myanmar, ma diminuisce anche punteggio degli Stati Uniti per il quinto anno consecutivo. L'Italia è nel complesso libera. Ad affermarlo è il rapporto annuale del think thank Freedom House, l'organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani. Ha preso in esame 70 nazioni, valutate su 21 diversi indicatori come gli ostacoli all'accesso alla rete, limiti nei contenuti che è possibile pubblicare, la violazione dei diritti degli utenti. Il report, in particolare, evidenzia che nell'ultimo anno in 48 nazioni su 70 analizzate - pari all'88% degli utilizzatori globali - sono state predisposte nuove norme per le aziende tecnologiche in materia di contenuti, dati e concorrenza.
"Con poche eccezioni positive - spiega l'organizzazione - la spinta a regolamentare l'industria tecnologica che deriva in alcuni casi da problemi reali come le molestie online e le pratiche manipolative del mercato, viene sfruttata per soffocare la libertà di espressione e ottenere un maggiore accesso ai dati privati. Le vittime sono gli utenti". I maggiori peggioramenti sono stati documentati in Myanmar, Bielorussia e Uganda, dove le forze statali hanno represso le crisi elettorali e costituzionali. Il calo del punteggio di 14 punti del Myanmar (ora a 17 punti) è il più grande registrato dall'inizio del progetto Freedom on the Net. La Cina, invece, con 10 punti si classifica come il peggior paese per la libertà di Internet per il settimo anno consecutivo "con la pandemia di Covid-19 che rimane uno degli argomenti più pesantemente censurati".
Il punteggio degli Stati Uniti (75) è diminuito per il quinto anno consecutivo con "informazioni false e manipolate che hanno influenzato l'accettazione pubblica dei risultati delle elezioni presidenziali del 2020". L'Italia (76 punti) nel complesso è indicata come libera ma si segnalano nuove leggi o direttive che potrebbero portare ad un aumento della censura e ridurre l'anonimato online. Il punteggio più alto va all'Islanda (96), seguita dall'Estonia (94) e Costa Rica 87), primo Paese al mondo a dichiarare l'accesso a Internet un diritto umano. Altre statistiche del report rivelano che nell'80% delle nazioni analizzate sono state arrestate persone per i loro discorsi online; nel 41% delle nazioni si è arrivato a interrompere internet o le reti mobili per ragioni politiche; il 46% delle nazioni ha bloccato o ristretto l'accesso alle piattaforme social, scelta avvenuta principalmente in concomitanza di proteste o elezioni. Sul versante sorveglianza, infine, il rapporto segnala che le autorità di almeno 45 su 70 nazioni sono sospettate di sfruttare spyware (software spia) o tecnologie per l'estrapolazione dei dati fornite da aziende specializzate come Nso Group, finita nella bufera per il software Pegasus usato da alcuni governi contro giornalisti, attivisti e politici. A chi si occupa di legislazione, infine, Freedom House suggerisce la necessità di prevedere meccanismi che impediscano l'accentramento del potere nelle mani di pochi operatori dominanti, sia nel settore pubblico che in quello privato.
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