In Italia, la produzione di
acquacoltura nel 2021, tra pesci marini e di acqua dolce,
molluschi, crostacei, è di quasi 146mila tonnellate, superando
le quote della Grecia ma al di sotto di quelle di Spagna e
Francia. Un dato che si inserisce nel comparto europeo che, con
oltre 1,1 milione di tonnellate l'anno, rappresenta una parte
fondamentale del mondo della pesca. E' il quadro che emerge
dalla ricerca "Il lavoro nel settore della mitilicoltura in
Italia" presentata oggi e promossa da Fai-Cisl, Fondazione
Fai-Cisl Studi e Ricerche e Masaf. Uno studio che approfondisce
i modelli regionali e territoriali, analizzando potenziali di
crescita e critricità.
"Abbiamo realtà produttive italiane molto diverse - ha detto
Ludovico Ferro, direttore scientifico della Fondazione - in
Liguria ad esempio soprattutto semi artigianali, mentre nelle
Marche di tipo più industriale, ci sono vari mix di tradizione e
innovazione, con aziende familiari e altre più strutturate, con
una stima totale per la mitilicoltura di 450 imprese e 4mila
addetti, cui vanno aggiunti un migliaio di stagionali e un
indotto di 550 altri lavoratori tra commercializzazione e
manutenzione di barche e impianti".
Lido di Venezia, Pellestrina, Chioggia, Scardovari e Pila,
poi Goro, Cattolica, Civitanova Marche, Porto San Giorgio, La
Spezia e Taranto sono i luoghi di nascita della mitilicoltura,
tra i più colpiti per criticità ambientali, organizzative e
produttive. "Ad accomunano le realtà analizzate - ha detto Ferro
- sono i cambiamenti climatici, i predatori, come le orate o il
granchio blu, e una concorrenza non sempre leale sul piano delle
importazioni, ma soprattutto la mancanza di manodopera: anche
dove la mitilicoltura è fortemente radicata nelle tradizioni
locali, cui si somma la mancanza di ricambio generazionale; non
a caso in Emilia Romagna e Marche diversa si conta un'alta
presenza di lavoratori di origine straniera".
".
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