Un po' futurista, un po' legato
alla tradizione milanese che traspira dalle palle appese al
muro, che contemplano e ricordano ricette classiche, dal rustin
negáa alla più ecumenica lasagna al ragù. Ma Dada è soprattutto
l'avventura condivisa di due chef che lavorano a quattro mani
con tanta inventiva, Giuseppe Davide La Grotteria e Paolo Anzil.
Il dadaismo (di nome e d'ispirazione) irrompe subito con la
mousse di funghi servita nella tazzina di caffè: un bel ritmo
sugli amari che spiazza il palato ma diventa piacevole, quasi da
dipendenza. Partenza al contrario, ma anche il fungo cardoncello
frollato in aromatiche gioca sulle intensità (liquirizia, terra
di nocciole e carbone) appena smorzate dalla crema di
topinambur.
Gioca su sfumature delicate, invece, il risotto 'Milano Anni
Ottanta', cotto senza brodo, mantecato in bianco in stile
Parmigiana ma con il beurre blanc e i 24 mesi del formaggio: lo
zafferano entra di triplice sponda con gli stimmi marinati al
miele, la salsa e il perlage. È il piatto più riuscito della
cena, che anticipa l'evoluzione di un altro classico: la
cassoeula/cassola che, nella sua indefinibile varietà
etimologica, qui si chiama casseola. Quest'ultima è declinata
alla Wellington (ovvero in crosta) con un accompagnamento
duxelle di mele.
La cucina è a vista con le colonne in pietra, l'ambiente è
studiato con l'atmosfera della vecchia osteria, dove il banco
della mescita lascia spazio al pairing con cocktail di respiro
contemporaneo.
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