Dopo tre mesi di un'estenuante campagna elettorale, in Emilia-Romagna è arrivata l'ora della verità. Dalle 7 alle 23 si vota per decidere chi fra Stefano Bonaccini del Pd e la leghista Lucia Borgonzoni sarà il prossimo presidente della Regione.
Una sfida tutt'altro che scontata, che tiene con il fiato sospeso il governo, perché, nonostante tutti gli azionisti della maggioranza si siano sgolati nel dire che il voto emiliano-romagnolo non influirà sugli assetti dell'esecutivo, da lunedì gli effetti, qualunque essi siano, non potranno non farsi sentire.
Le regionali tengono col fiato sospeso perché l'esito è incerto, la posta è altissima e il risultato lascerà pochissimo spazio alle interpretazioni: dopo una mano secca, senza rivincite o esami di riparazione, da una parte ci saranno i vincitori, dall'altra gli sconfitti, senza margini di mediazione. E la differenza fra l'essere da una parte o dall'altra, potrebbero farla pochissimi voti, magari decisi da una delle tantissime vicende che hanno incrociato la campagna elettorale.
Tanti potrebbero essere i dettagli decisivi. Uno sarà sicuramente l'affluenza. Nel novembre del 2014, quando Bonaccini conquistò il suo primo mandato, a votare andrò poco più di un elettore su tre, votò infatti il 37% degli aventi diritto. La percentuale stavolta sarà inevitabilmente più alta: cinque anni fa fu un voto locale dall'esito abbastanza prevedibile, stavolta potrebbe essere uno spartiacque della politica italiana del quale si stanno interessando anche i media stranieri.
Nei comitati elettorali, che domani sera attenderanno i risultati, circolano molte teorie su chi possa essere maggiormente avvantaggiato da un'alta affluenza, ma fare previsioni in questo senso è piuttosto complicato.
Un'altra incognita potrebbe poi essere rappresentata dal voto disgiunto, possibilità ammessa dalla legge elettorale emiliano-romagnola, a differenza di quella calabrese: Stefano Bonaccini ha esplicitamente invitato gli elettori del Movimento 5 Stelle e delle tre liste alla sua sinistra a votare per lui in chiave anti-Salvini. Voti che potrebbero essere decisivi, considerando che, stando ai voti delle ultime europee (quando in Emilia-Romagna votò il 67%), la coalizione di centrodestra sarebbe in vantaggio di circa 5-6 punti.
Stefano Bonaccini, che ha tenuto alla larga per tutta la campagna elettorale i big nazionali, con qualche rara eccezione per Nicola Zingaretti, ha il compito di difendere la regione che per tutta la sinistra italiana è molto più di un simbolo. Una sconfitta in Emilia-Romagna metterebbe il Pd in una crisi tale da creare problemi d'equilibrio anche alla maggioranza che sostiene Conte.
Matteo Salvini ci ha scommesso forte, si è spesso moltissimo in prima persona in campagna elettorale e ha ribadito il suo obiettivo, con un tweet, anche durante il silenzio elettorale: "prima li mandiamo a casa domenica e poi andiamo a dare l'avviso di sfratto anche al governo di tasse, sbarchi e manette". La vittoria in Emilia-Romagna per la sua fedelissima Lucia Borgonzoni, sul palco della chiusura di Ravenna anche con Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, sarebbe storica. Tuttavia, una sconfitta non sarebbe indolore, perché rappresenterebbe l'interruzione di una striscia positiva di nove Regioni vinte e una battuta d'arresto nella sua avanzata.
Simone Benini, candidato del Movimento 5 Stelle, non ha chance di inserirsi nella sfida fra i due candidati principali: le regionali saranno però un test per capire cosa è rimasto di quell'enorme capitale di consenso conquistato alle politiche di appena due anni fa.
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