"Viviamo giorni dove i criminali stanno finendo di scontare le loro pene, ed io? La mia pena è infinita, è a vita; niente protezione, niente anonimato, niente risarcimento. Vivo nel baratro del mio passato, nascondendomi nell'oblio per affrontare e sconfiggere ogni giorno il pregiudizio dell'opinione pubblica, conquistare il mio quotidiano e dare speranza a quella dei miei figli". Lo scrive Eva Mikula, all'epoca compagna di Fabio Savi, il 'lungo' della banda della Uno Bianca e l'unico non poliziotto del gruppo che dal 1987 al '94 terrorizzo' Emilia-Romagna e Marche, uccidendo 24 persone e ferendone 102. La donna romena, che ora vive tra Londra e l'Italia, torna a farsi viva con una lettera aperta, inviata all'ANSA e indirizzata all'allora pm di Rimini Daniele Paci e ai poliziotti Luciano Baglioni e Pietro Costanza.
Secca la replica dei familiari delle vittime. "Sono un po' spiazzata: si dovrebbe vergognare. E' stata zitta per anni, perché le faceva comodo, aveva dei soldi. Ora forse ha bisogno di qualcosa e si è fatta viva. Si deve vergognare", dice Rosanna Zecchi, presidente dell'Associazione Familiari Vittime della Uno bianca. "Dico la verità: se ha parlato è perché altri l'hanno scoperta - ha aggiunto - sapeva cosa faceva la banda perché dormiva con le armi sotto al letto. Sperava in un risarcimento? Dopo anni di silenzio? Non ne possiamo più, sappiamo benissimo il ruolo che ha avuto in quegli anni: io sono stata in Tribunale e l'ho sempre vista, lei era dall'altra parte. Se fossi in lei me ne andrei via dall'Italia e non ne parlerei mai più. Se vuole dire qualcosa - ha concluso la presidente dell'Associazione - vada in Procura, scriva alla Procura. Ci lasci in pace".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA