"È vero: io sono prigioniero e non
sono in uno stato d'animo lieto. Ma non ho subito nessuna
coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per
brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Perché non mi
credete? Chi vi suggerisce di non credermi? Amici, non vi
lasciate ingannare. Vi supplico in nome di Dio": sono le parole
che Aldo Moro scrisse durante i 55 giorni della sua prigionia
nel 1978 e che ora ritornano nello spettacolo che Fabrizio
Gifuni porta al Teatro Arena del Sole di Bologna il 9 e 10
febbraio.
"Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla
prigionia e sul memoriale di Aldo Moro", questo il titolo della
piéce, segue i lavori sui testi pubblici e privati di Carlo
Emilio Gadda e di Pier Paolo Pasolini, che hanno fruttato
all'attore Premio Ubu nel 2010: Gifuni si confronta ora con lo
scritto più scabro della storia d'Italia, il j'accuse del
presidente della Democrazia Cristiana sequestrato e condannato a
morte dalle Brigate Rosse. Durante la prigionia lo statista
parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa,
si congeda. Si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di
partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi
disposizioni testamentarie. E insieme alle lettere compone un
lungo testo politico, storico e personale, il cosiddetto
memoriale, partendo dalle domande poste dai suoi sequestratori.
Le lettere scandiscono i 55 giorni del sequestro, sono le ultime
parole di Moro: un fiume inarrestabile, che si cercò di
arginare.
Ne emerge un Moro lontano dall'immaginario comune, che nella
prigionia tocca infinite sfaccettature di emozioni:
dall'abbandono alla delusione, dalla rabbia all'invettiva fino
alla collera. Quello di Gifuni è un lavoro di memoria, storica
ed emotiva: non interpreta ma si fa abitare dalle parole in un
tesissimo corpo a corpo con il testo e con il pubblico, a cui è
impossibile sottrarsi.
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