Un numero che richiama l'articolo
della Costituzione sulla sussidiarietà. È per questo motivo che
è stato assegnato il 118 al servizio sanitario territoriale di
emergenza, con il decreto del presidente della Repubblica del 27
marzo 1992. La storia è stata ricostruita questa mattina -
durante la conferenza stampa con l'assessore regionale alla
Salute, Raffaele Donini, per celebrare i 30 anni del servizio -
da uno dei fondatori, Marco Vigna, che ha gestito sia la prima
centrale operativa dell'ospedale Maggiore che i soccorsi della
strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Il servizio, infatti, fu sperimentato per la prima volta a
Bologna e Udine durante i mondiali di calcio in Italia del 1990,
ma la strada verso il 118 di oggi venne intrapresa già negli
anni Settanta, in Emilia-Romagna, al punto che, come spiegato da
Vigna, la legge nazionale si è ispirata quasi completamente al
modello messo in piedi in Regione, prima con la realizzazione di
una rete radio e poi con i tentativi di integrare tutti i
soggetti che si occupavano di soccorso.
Secondo i dati forniti, la Regione investe nel servizio 180
milioni all'anno, di cui 105 destinati alle aziende sanitarie e
75 alle associazioni di volontariato. In Emilia-Romagna
partecipano al servizio di emergenza, attivo 24 ore su 24, 3.200
tra medici e infermieri, 500 autisti soccorritori, quasi 21mila
volontari per un totale di 270 tra ambulanze e automediche. Nel
2021, inoltre, sono stati effettuati 475mila interventi e sono
stati soccorsi 490mila pazienti.
"Ringrazio tutto il personale per il lavoro fatto in questi
due anni di pandemia - ha detto attraverso un videomessaggio
Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia-Romagna - il virus ha
dimostrato che può colpire chiunque e se non c'è chi ti aiuta
non te la cavi. Come Regione continueremo a investire per
irrobustire il sistema sanitario pubblico e universalistico".
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