'L'Haggadah di Sarajevo' è il
titolo della mostra, dedicata al codice pergamenaceo di età
medievale di una delle più significative celebrazioni della
tradizione religiosa ebraica, che dal 10 aprile al 12 giugno
sarà ospitata al Museo Ebraico di Bologna. Scampato a varie
peripezie, tra cui due guerre, il manoscritto, dichiarato
patrimonio dell'Unesco, è esposto attraverso 47 riproduzioni
delle sue miniature ed è affiancato a una serie di fotografie di
Edward Serotta, 'Sopravvivere a Sarajevo', che documenta la
drammatica quotidianità dell'assedio di Sarajevo durante la
guerra dei Balcani (1992-1995) e il contributo di solidarietà
prestato dall'associazione 'La Benevolencija'.
La Haggadah di Sarajevo è stata mostrata al pubblico una sola
volta, nel 1989 a Zagabria, in occasione di un incontro sulla
cultura ebraica. La mostra al Meb si arricchisce anche di
numerose edizioni di Haggadoth a stampa, per una panoramica
sull'ampiezza e la varietà di stili e registri che questo testo
ha avuto nel corso del tempo.
La Haggadah è il testo che ripercorre la storia della
schiavitù degli ebrei in Egitto e della loro liberazione così
come è narrata nel libro dell'Esodo. La redazione manoscritta e
istoriata che va sotto il nome di 'Haggadah di Sarajevo' è un
codice prodotto in Spagna intorno alla metà del Trecento: dopo
la cacciata degli ebrei del 1492, passando da Salonicco e
dall'Italia, è giunto a Sarajevo, dove dal 1894 è conservato al
Museo Nazionale. Durante la Seconda guerra mondiale sfugge alla
razzia dei nazisti perché il bibliotecario lo nasconde in una
moschea, tra volumi del Corano, dove rimane fino alla fine della
guerra. Riportata al Museo Nazionale, durante il conflitto del
1992-95, si salva per opera del direttore del Museo, che insieme
ad alcuni poliziotti e membri della Guardia territoriale porta
via l'Haggadah dal Museo, che si trovava sulla linea del fronte,
e la trasferisce nel caveau della Banca Nazionale. In tutti i
suoi spostamenti il manoscritto deve la sopravvivenza alla
protezione, alle cure e al coraggio di due musulmani consapevoli
del valore storico-artistico e quindi universale del volume.
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