Entra nel vivo il dibattito sul pacchetto digitale presentato dalla Commissione Ue lo scorso 15 dicembre con l’obiettivo di contenere il potere delle Big tech. All’esame della commissione Mercato interno del Parlamento europeo, 1072 emendamenti alla proposta di regolamento sui mercati digitali (Dma) e 2115 a quella sui servizi digitali (Dsa), i due pilastri che compongono il pacchetto.
La discussione relativa al Dma, che disciplina il ruolo dei gatekeeper per limitarne le pratiche abusive, per ora ruota principalmente intorno alla questione dei criteri per designare le grandi piattaforme gatekeeper. Nella proposta della Commissione, i criteri sono individuati in base alle soglie di utenti (oltre 45 milioni) e di fatturato o capitalizzazione (più di 6,5 miliardi di euro o 65 miliardi di euro). La questione è di particolare importanza perché a differenza della normativa antitrust che colpisce le condotte anti-competitive solo quando è emerso il loro effetto negativo sulla concorrenza, nel Dma la designazione del gatekeeper fa insorgere una serie di obblighi e divieti a priori per contrastare le pratiche sleali. Per alcuni gruppi, tra cui Verdi e S&D, occorre definire dei criteri tali da ampliare la platea delle piattaforme designate come gatekeeper, che secondo l’eurodeputata Evelyne Gebhardt (S&D) sarebbe ora ristretta solo a quattro o cinque Big Tech americane. Il gruppo Ecr ritiene, invece, soddisfacente il compromesso sulle soglie presentato dal relatore.
Altro punto controverso è quello relativo ai divieti e agli obblighi in capo ai gatekeeper. I Conservatori sono contrari ad un elenco speculativo di prassi da vietare, mentre il gruppo Id chiede che sia prevista la possibilità per le autorità nazionali di imporre obblighi aggiuntivi. La Commissione europea, invece, insiste sul fatto che obblighi e divieti siano definiti in modo proporzionato. Una formulazione generica rischierebbe, è la tesi di Bruxelles, di soffocare l’innovazione. Disciplina degli algoritmi, sicurezza dei prodotti venduti nel web, pubblicità online e Pmi sono, secondo la relatrice Christel Schaldemose (S&D), i nodi principali del Dsa, che regola i servizi di intermediazione online, definendone responsabilità e obblighi di trasparenza. Uno dei punti più divisivi è quello relativo alla pubblicità. Verdi e S&D chiedono di introdurre un divieto alla pubblicità mirata, basata sulla profilazione degli utenti. Uno strumento appannaggio delle grandi piattaforme che, secondo gli eurodeputati, va a creare delle situazioni monopolistiche preoccupanti, e che risulta problematico anche sotto l’aspetto dei diritti fondamentali. Altri gruppi, tra cui Ppe e Renew, esortano invece a non bandire le inserzioni pubblicitarie che costituiscono uno strumento fondamentale per le imprese. Un divieto, avvertono, significherebbe l’oscuramento di molti siti web e non necessariamente si tradurrebbe in una maggiore trasparenza. I popolari del Ppe, inoltre, sottolineano la necessità di non gravare le Pmi di un onere normativo sproporzionato, chiedendo migliori condizioni di funzionamento del mercato digitale a loro favore. Altro punto caldo è, infine, quello relativo al meccanismo di notifica e rimozione dei contenuti illegali: l’Ecr ravvisa una minaccia alla libertà di espressione e chiede quindi di limitare gli effetti della procedura.
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