Un aumento di quasi 14 miliardi l'anno dei costi di produzione. E' l'impatto combinato al 2030 della riforma dell'Ets e dell’introduzione della carbon tax alle frontiere (Cbam) sul settore siderurgico europeo secondo i calcoli dell’associazione di categoria Eurofer. Il prezzo del carbonio nell'Ue-Ets, che viaggia ormai stabilmente sopra i 65 euro la tonnellata con picchi di oltre 90 registrati la settimana scorsa "sta diventando un problema per le famiglie e l'industria manifatturiera – dice all'ANSA il direttore generale di Eurofer Axel Eggert – ma ciò non significa che siamo contrari agli obiettivi climatici, al contrario, li sosteniamo".
"Abbiamo 54 progetti per l'acciaio a basse emissioni, per 25 miliardi di capitali di investimento e 48 miliardi di costi operativi, che ci consentiranno nel 2030 di abbattere le emissioni di un terzo”, argomenta Eggert. Ma, obietta, con nuovo Ets e Cbam “anche con una riduzione del 30% delle emissioni entro il 2030, in linea con il target Ue, il settore avrebbe lo stesso costi carbonio supplementari di 8,5 miliardi di euro a fronte di 25 miliardi di investimenti in tecnologie pulite”.
Il Green Deal ha dato una spinta politica, conviene Eggert, "anche se investiamo in nuove tecnologie per la sostenibilità dagli anni 2000". Il futuro sono la DRI (Direct Reduced Iron) e la cattura della CO2. Ma è la fattibilità dei piani Ue a preoccupare l'industria. Convertire gli impianti implica non solo costi e investimenti ma anche una diversa “dieta” energetica, quindi "un accesso a energia pulita a prezzi sostenibili", puntualizza Eggert.
"Nel 2050 l'industria siderurgica avrà bisogno ogni anno di circa 162 TWh di elettricità esterna per i processi di produzione e di circa 5,5 milioni di tonnellate di idrogeno – calcola Eggert – con un fabbisogno elettrico totale di circa 400 TWh, cioè quasi l'intera produzione o consumo di elettricità della Francia".
Per quanto riguarda la riforma dell'Ets, “la Commissione per la sua valutazione di impatto ha usato come riferimento del prezzo della CO2 40 euro nel 2021 e solo 60 nel 2030, oggi siamo già oltre”, sottolinea Eggert, “serve quindi una valutazione di impatto aggiornata per il nostro settore”. E poi, il ritmo e l’entità della riduzione dei benchmark di emissione dell’Ets per le varie componenti, che si aggiunge a una traiettoria più ripida di riduzione delle emissioni, “mette a rischio la nostra competitività”.
A questo si aggiunte il Cbam, che prevede la cancellazione delle quote gratuite. Il meccanismo che imporrebbe agli esportatori verso l’Ue di applicare ai prodotti siderurgici all’ingresso nel mercato unico lo stesso prezzo della CO2 dell’Ets, avvicinando i costi di produzione a quelli europei, “è una buona idea – dice Eggert – ma per verificare che funziona va testato" con "la giusta gradualità".
La discussione sul provvedimento, che avanza nell'Europarlamento, sembra andare in un'altra direzione. La commissione Commercio (che condivide la competenza con commissione Industria e commissione Ambiente) ha la responsabilità esclusiva del fascicolo per le questioni relative alle regole del Wto e agli accordi commerciali esistenti dell'Ue, ma la relatrice Karin Karlsbro (Renew, Svezia) si è spinta oltre, proponendo di applicare il Cbam un anno prima e di accorciare i tempi per la cancellazione delle quote gratuite di CO2, oltre ad essere contraria a un sostegno alle esportazioni di acciaio verde made in Ue. "Serve invece una maggiore gradualità – argomenta Eggert – tra l’entrata in vigore del sistema e la riduzione delle quote gratuite di emissione".
L’ex Ilva di Taranto rappresenta un caso modello per una transizione che si preannuncia particolarmente difficile per l’acciaio europeo. Il più grande impianto siderurgico dell’Ue non solo ha creato problemi ambientali ma da anni non è competitivo. "Questo perché abbiamo dovuto affrontare l’eccesso di capacità su scala globale e la concorrenza sleale degli altri produttori che ne deriva – indica Eggert – ma la location e le infrastrutture dell’area sono eccellenti e credo sarebbe un peccato se l’Italia lasciasse chiudere l’impianto, dovrebbe investire in acciaio verde, che è un'opportunità per tutti, ma per crearla abbiamo bisogno anche del sostegno dei responsabili politici”.
Fa differenza "se – conclude – investiamo in acciaio verde che costa 2 oppure 300 euro in più rispetto all'acciaio convenzionale”. "Il rischio è che non riusciamo a trovare mercato perché l’acciaio convenzionale costa di meno… quindi abbiamo bisogno degli incentivi e di sostegno finanziario" e di un quadro normativo europeo "che preveda un vero periodo di transizione, come per le energie rinnovabili".
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