Ben presto ciò che è illegale offline dovrà esserlo anche online. E anche se per avere nuove regole manca ancora qualche metro, al Parlamento europeo la giornata è da ricordare. Con un voto atteso e schiacciante, gli eurodeputati hanno compiuto un passo decisivo verso l'approvazione del Digital Service Act (Dsa), il disegno di legge che, per usare l'analogia ripetuta come un mantra dal commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, punta a "mettere un po' d'ordine nel Far West digitale". Fatto di incitamento all'odio e alla violenza, fake news, e utenti sempre più in balia di pubblicità mirate, contenuti illegali e algoritmi aggressivi dispiegati senza pietà dalle Big Tech. Tutte condotte che per Bruxelles non sono più tollerabili e di cui le piattaforme online dovranno iniziare a rispondere il prima possibile.
Arrivata nel giro di un anno alla conta della plenaria di Strasburgo, la proposta avanzata per la prima volta nel dicembre 2020 dalla Commissione europea vuole obbligare Google, Amazon, Facebook e Apple a farsi carico della moderazione dei contenuti, rimuovendo quelli illegali che circolano sulle loro piattaforme. E se non lo faranno, saranno loro a risponderne agli utenti. Che potranno anche chiedere di essere rimborsati di eventuali danni subiti. Il testo, integrato dal Parlamento europeo che lo ha licenziato con 530 voti a favore, 78 contrari e 80 astenuti, prevede anche una maggiore trasparenza per l'uso degli algoritmi, più opzioni per negare il consenso alla pubblicità mirata e il divieto di targeting sui minori o i gruppi vulnerabili e di tecniche ingannevoli o di 'nudging' per influenzare il comportamento degli utenti. Per chi sgarra le multe sono salate: fino al 6% del fatturato annuo. Il tutto per offrire agli europei "un Internet più sicuro ed equo", promette il commissario francese.
Se le intenzioni di riprendere il controllo sul manipolo di giganti americani (e non solo) del web sono plaudite un po' da tutti - anche tra i gruppi politici (tra gli italiani, contraria la Lega che avrebbe voluto norme più stringenti) -, il diavolo come sempre si nasconde nei dettagli, che non a tutti vanno a genio. A partire dagli editori, che vorrebbero essere esentati dalla responsabilità di moderazione dei contenuti per non essere messi sullo stesso piano delle Big Tech in nome della libertà di espressione e si mostrano scettici anche sui limiti imposti alla pubblicità online. Per i consumatori europei, invece, il Parlamento Ue poteva fare molto meglio di così, imponendo obblighi più stringenti sui prodotti illegali e un divieto 'tout court' per le tecniche di sorveglianza pubblicitaria. Tutte osservazioni che potrebbero dilatare i tempi per arrivare a quell'accordo finale tra le istituzioni comunitarie che il presidente francese Emmanuel Macron, alla guida della presidenza di turno Ue, vorrebbe chiudere entro giugno.
A cercare una sintesi sarà allora la sua 'spalla' a Bruxelles, Breton, che assicura che eventuali "problemi per servizi o settori più specifici saranno affrontati con normative apposite". Anche considerato che la velocità del mondo del digitale richiede uno spirito di adattamento politico e giuridico. Fin qui, l'ottimismo del francese alla guida delle ambizioni tech dell'Ue è ben saldo. Forse perché a dargli man forte c'è l'Antitrust - che guida anche l'avanzamento del Digital Markets Act (Dma), gemello del Dsa ma dedicato a contrastare le pratiche sleali di mercato delle Big Tech, con multe fino al 10% dei ricavi globali annui e lo smantellamento delle attività in caso di recidiva -: la guardiana della Concorrenza europea, Margrethe Vestager, ha messo nel mirino il mercato degli assistenti vocali, monopolizzato da Home Assistant, Alexa e Siri. E sta iniziando a pensare anche aull'evoluzione del metaverso. "Qualcuno - ha ammonito - potrebbe avere una posizione dominante". I riferimenti a Facebook (o Meta) non sono puramente casuali. Per il Far West digitale, insomma, i mesi sembrano contati.
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