Apple è finita di nuovo nel mirino dell'Antitrust Ue. Stavolta a essere sotto accusa è l'applicazione Apple Pay, quella che consente di effettuare i pagamenti elettronici semplicemente avvicinando i dispostivi mobili della casa di Cupertino agli apparecchi che leggono le carte di pagamento. Secondo la vicepresidente della Commissione Ue Margrethe Vestager, anche se il caso non è chiuso (Bruxelles ha solo comunicato ufficialmente all'azienda lo stato del procedimento), al momento sono stati raccolti elementi che lasciano supporre un abuso di posizione dominante. "Apple ha limitato l'accesso agli input chiave necessari per sviluppare ed eseguire app di pagamento mobile, i cosiddetti portafogli mobili", ha spiegato Vestager ricordando che in Europa la maggior parte dei pagamenti via telefono si effettua tramite tecnologia Nfc. E che di fatto Apple ha impedito lo sviluppo di ulteriori portafogli mobili innovativi rifiutando ad altri l'accesso a Nfc sui suoi dispositivi".
La casa di Cupertino, durante l'indagine, si è difesa sostenendo che l'accesso a Nfc non è stato consentito per motivi di sicurezza. Ma per la vicepresidente dell'esecutivo europeo dalle indagini compiute fino ad oggi "non è emersa alcuna prova che indichi un rischio di sicurezza così elevato" da giustificare questa limitazione. L'inchiesta di Bruxelles ha preso il via nel giugno del 2020 (Apple Pay è operativa dal 2014) dopo le segnalazioni giunte da diverse banche europee e, se le accuse dovessero essere confermate, potrebbe portare a sanzioni di importo pari, al massimo, al 10% del fatturato della società. "Apple Pay è solo una delle tante opzioni disponibili per i consumatori europei per effettuare pagamenti - è stata la replica di Apple - e ha garantito un accesso equo all'Nfc stabilendo al contempo standard all'avanguardia nel settore per quanto riguarda privacy e sicurezza. Continueremo a impegnarci con la Commissione per garantire che i consumatori europei abbiano accesso all'opzione di pagamento di loro scelta in un ambiente sicuro e protetto".
Il caso Apple Pay arriva in un momento particolarmente teso nelle relazioni tra il legislatore europeo e le Big Tech. L'Unione ha appena varato due provvedimenti - il Dma (Digital market act) e il Dsa (Digital service act) - con l'obiettivo di fissare dei paletti allo strapotere di giganti come come Apple, Google e Amazon che oggi operano in un ambiente digitale assimilabile secondo molti osservatori a un far west senza regole. In questo contesto si inserisce anche il ricorso di Google contro la Commissione europea per la multa da 1,49 miliardi di euro inflitta da Bruxelles all'azienda dopo aver riscontrato un abuso di posizione dominante nel campo dei contratti per la pubblicità online. Alla prima udienza davanti ai giudici della Corte Ue, i legali di Google hanno attaccato la decisione della Commissione parlando di errori materiali compiuti nel corso dell'istruttoria e definendo 'quasi criminale' la decisione assunta contro la casa di Mountain View. E sul fronte nazionale le cose per i giganti del web non vanno meglio: l'Antitrust tedesca ha stabilito un controllo più severo sul gruppo Meta, proprietario di Facebook, WhatsApp e Instagram. L'autority ha lassificato Meta come un'azienda di "importanza fondamentale per la concorrenza" e, quindi, potenzialmente in grado di infrangerla. La catalogazione permetterà una maggiore vigilanza delle attività della compagnia, grazie a una nuova legge approvata in Germania nel 2021. Lo stesso meccanismo era stato utilizzato a inizio anno per Alphabet, società madre di Google. Sono invece ancora in corso verifiche su Apple e Amazon.
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