Gli investimenti europei in clean-tech attratti dalle agevolazioni dell’Inflation Reduction Act (I.R.A.) americano rappresentano una quota marginale del totale, meno del 12%. E’ uno dei risultati di una prima analisi del Financial Times sui flussi finanziari innescati dal massiccio piano di aiuti alle clean-tech varato da Washington.
Per mesi le industrie europee hanno avvertito l’Ue di quanto l’I.R.A. potesse diventare una calamita per i loro investimenti. Ma almeno al momento l’analisi di Ft rileva che "gli investimenti europei costituiscono solo una piccola quota degli impegni di produzione di tecnologia pulita degli Stati Uniti dall'approvazione dell'Ira, circa il 12% - si legge sul quotidiano finanziario – tra i maggiori investitori stranieri ci sono la Corea del Sud e il Giappone, le cui società hanno impegnato più di 30 miliardi di dollari nella costruzione della catena di fornitura di veicoli elettrici e batterie negli Stati Uniti da agosto. Il mese scorso, LG Energy Solution ha annunciato un impianto di batterie da 5,5 miliardi di dollari in Arizona, il più grande investimento di batterie fino ad oggi negli Stati Uniti”.
Certo, siamo solo all’inizio. Il mese scorso sono stati fatti impegni per quasi 13 miliardi di dollari, e altri ne arriveranno man mano che l’amministrazione Biden fornisce dettagli su come verranno attuati i crediti d'imposta, una delle leve più attraenti dell’I.R.A. L’azienda norvegese Freyr invece che nello Spazio Economico Europeo ha deciso di investire 2,6 miliardi di dollari per una fabbrica di batterie nello Stato della Georgia perché l’I.R.A. “offre il programma incentivi per la produzione di batterie pià grande del mondo”, ha dichiarato a Ft il Ceo dell’azienda Tom Einar Jensen
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