Una quota di mercato arrivata all’8% in un anno con forte tendenza alla crescita, prevista al 15% nel 2025. Sono alcune delle cifre che hanno convinto la Commissione europea ad aprire un’indagine anti-sussidi sulle importazioni di auto elettriche cinesi. Per Pechino si tratta di "un puro atto protezionistico che interromperà e distorcerà gravemente la catena globale dell'industria automobilistica e della fornitura e avrà un impatto negativo sui legami economici e commerciali tra Cina e Ue". Un botta e risposta che arriva a una decina di giorni dallo sbarco nella capitale cinese del vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis per il dialogo commerciale di alto livello tra le due parti.
L’indagine è “iniziativa propria” sottolinea una portavoce della Commissione, cioè che non ha origine da un reclamo dell’industria Ue come da prassi in questi casi. Non ci sono dubbi, però, che a brindare sia soprattutto il settore auto francese, con Parigi - per settimane in pressing su Bruxelles per ottenere l'avvio dell'indagine - pronta a lanciare un bonus di 5mila euro per l'acquisto di veicoli elettrici 'made in Eu'. L’Ue è diventata lo sbocco più conveniente dei marchi cinesi, viste le restrizioni già decise dagli altri Paesi coinvolti nella corsa alle tecnologie pulite, per proteggere le industrie nazionali: gli Usa (27,5% di dazio sulle auto elettriche cinesi), l’India (dal 60 al 100% su tutti i veicoli elettrici importati), la Turchia (tariffa del 40% per le auto di Pechino). Bruxelles si prepara ad allinearsi agli altri.
L'istruttoria annunciata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen durante il discorso sullo stato dell’Unione, si muove nella stessa direzione già intrapresa su microchip e materie prime rare. E segna, nella sua visione, la fine dell'epoca della dipendenza dell'Europa dall'"assertiva" Cina, nel segno dell'equilibrio tra la "riduzione dei rischi" e la volontà di "mantenere aperti i canali di comunicazione", puntando quindi sul de-risking per scongiurare il decoupling. Attraverso il ministero del Commercio, Pechino ha espresso "forte preoccupazione e insoddisfazione" e definendo la decisione di Bruxelles "un puro atto protezionistico che interromperà e distorcerà gravemente la catena globale dell'industria dell'auto e delle forniture". E all'indomani dell'annuncio della politica tedesca, che mina uno dei comparti in salute e in espansione dell'economia del Dragone, si è verificato un effetto immediato sui titoli quotati del settore: a Hong Kong le azioni del leader di mercato Byd hanno chiuso a -3,15%, peggio dei rivali più piccoli Geely Auto (-0,52%) e Nio (-0,93%). Mentre Saic, il gruppo statale trattato a Shanghai, ha perso lo 0,34% (dal minimo intraday a -3,4%). E Catl, il colosso mondiale delle batterie, ha ceduto a Shenzhen lo 0,77%.
Visto da Pechino, lo scontro con Bruxelles era l'ultimo degli scenari auspicabili, tra le tensioni con gli Usa e le difficoltà economiche interne. Nella cornice indiana del G20 a New Delhi, il premier cinese Li Qiang aveva chiesto a von der Leyen "un ambiente non discriminatorio" per le imprese di Pechino, al fine di mantenere la stabilità nei rapporti sino-europei contro le incertezze globali e contro un'escalation bilaterale. Invece, von der Leyen ('von der Hawk' sui social in mandarino per la postura da falco anti-cinese) nel suo discorso sullo stato dell'Unione europea ha affermato che "i mercati globali sono ora inondati di auto elettriche più economiche. E il loro prezzo è mantenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali".
L'indagine anti-sovvenzioni, avviata dalla Commissione e non sulle denunce del settore, ha avuto la spinta decisiva dei produttori francesi, in ritardo sui rivali tedeschi nella supply chain elettrica. Volkswagen, tuttavia, ha segnalato le difficoltà del settore non rinnovando 269 contratti a termine presso la sua fabbrica EV di Zwickau a causa dell'attuale "situazione del mercato". L'indagine anti-sovvenzioni è destinata a definire agenda e toni dei colloqui del vertice annuale Cina-Ue, atteso entro fine anno. L'Ue chiede da tempo un più ampio accesso al mercato cinese per riequilibrare la bilancia commerciali troppo sbilanciata a favore del colosso asiatico: un negoziato in salita, condizionato poi dalla vicinanza del Dragone alla Russia a dispetto della sua aggressione militare all'Ucraina.
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