"La differenza che intercorre
tra ricercare informazioni su Google e radiografare i dati come
fanno analisti e intelligenze artificiali è la stessa che passa
tra setacciare la sabbia con una paletta e sfogliare un libro".
Parola di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, che
presentando a pordenonelegge il suo "Atlante del mondo che
cambia" (Rizzoli) si è soffermato a lungo sull'importanza dei
dati e sul loro utilizzo nel giornalismo. "In media, ogni due
giorni l'uomo e le sue tecnologie creano un volume di dati pari
alla quantità di informazioni generate dall'umanità intera fino
al 2003. Orientarsi in questo oceano può sembrare impossibile, e
in effetti trovare dati catalogati da fonti attendibili e
riuscire a decifrarli sono entrambi compiti ostici" ha spiegato
il giornalista e scrittore.
"È una sfida avvincente che mostra quanto ancora il mondo del
giornalismo si possa evolvere". "Spostandomi in giro per il
mondo - ha raccontato Molinari - ho avuto la fortuna di veder
nascere il data journalism: una professione che richiede il
tempo, la premura e l'umiltà di studiare i dati, ma anche la
formazione di nuove figure professionali che accompagnino il
giornalista tradizionale. Il Wall Street Journal, ad esempio,
sta testando unità di lavoro formate da un giornalista che
dirige l'inchiesta, un analista che studia i dati ed un
ingegnere che programma i criteri della ricerca. Io, sia con La
Stampa che con Repubblica, ho iniziato un dialogo con il
Politecnico di Torino e con la Bocconi, che a quanto mi risulta
sono le prime università italiane a laureare analisti di dati.
La tecnologia esalta il nostro lavoro, non lo sminuisce, ed ha
comunque bisogno di essere supportata dalla qualità di chi la
utilizza".
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