(di Francesco De Filippo)
C'è una scelta fondamentale cui
una città bella e "domestica" come Trieste obbliga: partire nel
tentativo di intercettare le grandi dinamiche economiche e
culturali delle competitive ma stressanti aree metropolitane o
restare, sacrificando possibili successi ,in nome di una vita
meno sfavillante ma più autentica e tranquilla. Vuoi per il
fascino che Tergeste esercita sui triestini, vuoi per il timore
di gettarsi in una arena feroce, in tanti non hanno mai lasciato
Trieste, o vi sono tornati. Livio Rosignano appartiene a
quest'ultima categoria.
Prolifico pittore, chi lo conobbe è convinto che se fosse
rimasto a Milano - dove si era trasferito - avrebbe avuto un
grande successo. Ma il richiamo di Trieste fu forte. Qui
Rosignano convertì in arte la quotidiana fatica dei "Poveri
Cristi" del quartiere di San Giacomo. In fila all'Esattoria, in
transito in un sottopasso o in bus, trasferì su tela il loro
perenne sguardo vuoto e spaventato, lo svuotamento interiore
causato dal peso della vita.
A lui è dedicata la prima personale dalla sua morte (avvenuta
nel 2015 a 90 anni), "Livio Rosignano. Dipingere il vento", al
Magazzino 26 (fino al 10 luglio, promossa da Associazione
Comunità Istriane di Trieste con Comune di Trieste, ideata e
curata da Marianna Accerboni). Ma Rosignano non fu un uomo
triste: nonostante la deportazione nell'inferno di Dachau e
altre vicissitudini, fu uomo appassionato della vita, mai
ripiegato o vinto. In una intervista, a 90 anni, disse che,
avendo cibo, libri, dipingendo ogni giorno, la sua vita era
bella. La mostra punta su un aspetto della produzione (3.500
dipinti, 17 mila disegni), quel "dipingere il vento" per la
capacità di immortalare la bora. Ma negli oltre cento tra
dipinti, disegni, articoli e libri dell'allestimento, emerge un
espressionista poetico di grande tecnica nei ritratti,
autoritratti, paesaggi, che si tratti di vedute di mare, urbane
o industriali.
"Come pittore fu artista di luci, di atmosfere, di grande
sensibilità per l'umanità; come uomo fu animato da spirito
malinconico, ma fu anche euforico, sempre vitale", lo definisce
la curatrice Marianna Accerboni.
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