Venti giorni. Lo spazio di una blitzkrieg, una guerra lampo, per restare e rilanciare. Una manciata di giorni dove Ignazio Marino, sindaco dimissionario ma non del tutto, potrebbe decidere di far tremare il Pd. E restare in sella questa volta da irregolare tout court. La lettera di dimissioni ufficialmente ancora non c'è e anzi, diventa un piccolo giallo, nel nero pesto di una brutta storia. Il vicesindaco Marco Causi annuncia che "le dimissioni sono state protocollate" ma viene smentito dalla presidente d'Aula: "qui non c'e' nulla". Ore d'incertezza ma poi il Campidoglio fa sapere che Marino "formalizzerà le dimissioni il 12 ottobre, lunedì".
Dal giorno successivo scatteranno i fatidici 20 giorni durante i quali potrà ripensarci. Se l'addio sarà mantenuto il 2 novembre decadrà da sindaco. Per ora, tuttavia, le dimissioni, revocabili, sono consegnate ad un video su Facebook e ad un comunicato. E' questa la guerra di nervi del chirurgo che i nervi, per mestiere, li ha saldissimi. "Sto molto bene", dice ai giornalisti mentre si avvia stamane, incredibilmente, a celebrare un matrimonio in Campidoglio con fascia tricolore d'ordinanza.
Gli sposi sono suoi amici. La sposa, manco a dirlo, è americana. Lui, sfoderando romanticismo, gli dedica una poesia di Neruda. Ma fuori la Sala Rossa, oltre riso, bouquet e "viva gli sposi", c'è la trincea. A partire da quella del Pd e di Matteo Renzi, che sta lavorando in prospettiva di un candidato autorevole per il centrosinistra, per arrivare alle aspirazioni dei 5 stelle e del centrodestra (Lega e Forza Italia), che dibattono su come schierare i loro candidati di punta. Con Matteo Salvini che, minacciosamente, avverte: Se il sindaco non ritira le dimissioni lo porto via io. Intanto oggi, se possibile , per Marino è più dura di ieri.
Persino Alfonso Sabella, l'assessore scelto da Marino in persona per imprimere la svolta, non gliele manda a dire. "Marino sa che 20 giorni non cambiano le condizioni politiche", dice alle tv dopo avere detto che "l'inchiesta per peculato mi imbarazza". Più tardi dirà di non storcere proprio il naso davanti ad una possibile proposta di fare il commissario post Marino: "valuterò ogni possibilità", spiega. Il sindaco intanto si mette al lavoro e fa sapere che userà questi venti giorni per garantire tutti i cantieri del Giubileo e gli altri che rischiano di saltare "per il bene di Roma". Ma li userà anche per esplorare nuove strade politiche, strade che appaiono ora funamboliche ma tant'è. A dargli una speranza arriva Sel, estromessa dalla giunta dall'ultimo rimpasto tutto Pd, e dunque che ha molti sassolini nella scarpa.
"Siamo disposti ad una verifica seria ma se si cambia rotta", dice il capogruppo Sel Gianluca Peciola. E il segretario romano Paolo Cento puntella l'apertura: "Marino da dimissionario ha rotto con la gabbia Pd". Forse potrebbe essere un embrione per una sfida politica che va oltre i venti giorni. Prove tecniche di ricandidatura. Perché, dicono i fidati del sindaco, "non è che si fa cacciare come un ladro dopo che lui ha cacciato i veri ladri". E certo Marino smentisce, minacciando querele a tutto campo, di avere detto che "farà i nomi" dei raccomandati - poi indagati - targati Pd.
Ma filtra che stia mandando in stampa il suo libro di 'memorie dal Campidoglio', pagine fitte di inediti, appunti, aneddoti. Anche a questo lavorerà nei venti giorni cruciali dove potrebbe esserci spazio anche per un salto in Procura per chiarire una volta per tutte davanti ad un uomo che stima, Giuseppe Pignatone, l'infamia di scontrini e cene. Ma sono ore decisive anche per il Pd romano ora in disarmo che cerca un nome per dimenticare Marino. Orfini riceve al Nazareno l'attivissimo Alfonso Sabella "per ringraziarlo per ciò che ha fatto per Roma in questi mesi". Ma i maliziosi dicono "per parlare anche di ciò che è disposto a fare ancora per Roma".
Poi il commissario del Pd, già convinto garante di Marino, ha un faccia a faccia con il premier Renzi "su come migliorare la vita dei romani" e probabilmente anche del Pd capitolino. L'opposizione invece sembra già puntare su nomi concreti da Alfio Marchini, che ritorna a correre per il Campidoglio, a Giorgia Meloni oggi "unta" anche da Salvini. E poi M5S che ha una rosa ampia di "romani" da giocarsi per vincere il sogno più grande. Arrivare al Campidoglio.
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