Paolo Petroni
Ecco uno dei testi più
significativi e interessanti di quella macchina di drammaturgia
umoristica che è Neil Simon, 'Capitolo Due', portato in scena da
Massimiliano Civica in un intelligente modo di leggere
quest'opera, che nella prima parte introduttiva presenta il suo
meccanismo comico e di battute che sembrano obbligatorie,
spiritose ma di maniera, e nella seconda diventa un dramma
intenso costruito con sensibilità, incisivo e a lieto fine. Una
produzione del Metastasio di Prato e ospite al teatro Vascello,
sino a domenica, per il Romaeuropa Festival, che è stata accolta
da lunghi e calorosi applausi.
Un tono diverso questo di Neil Simon rispetto ai grandi suoi
successi (da 'La strana coppia' a 'L'appartamento') arrivati
anche al cinema, macchine comiche che sanno però un po' di
teatro di plastica, resistente, utile, ma senza vita vera, che è
quella che si sente invece qui. Probabilmente, come ci ricorda
Laura Zangarini nel programma di sala, perché rispecchia proprio
la vita dell'autore, rimasto vedovo dopo vent'anni di matrimonio
con l'adorata Joan cadendo in una cupa disperazione da cui, a
sorpresa, esce dopo pochi mesi incontrando l'attrice Marsha
Mason, innamorandosene e sposandola dopo venti giorni. È quel
che accade al suo George, scrittore di romanzi di spionaggio di
gran successo e di altri non di genere invece passati
inosservati. Al ritorno da una viaggio, sulle orme del suo
viaggio di nozze in Europa, rientra a casa sofferente e
catatonico, dove lo accoglie il fratello Leo, che pensa di dover
intervenire per aiutarlo a superare la depressione
presentandogli giovani donne per svagarsi, ma che lui trova
inadeguate e inopportune, finche capiterà di aver a che fare,
telefonandole per sbaglio, confondendo due numeri, con Jennie,
un'attrice di una decina di anni più giovane, appena divorziata.
L'aveva presentata a Leo, che fa l'ufficio stampa di teatro, una
sua cliente, Faye, dalla vita scombinata, confusa.
Tra i due scoppia subito la simpatia e poi, come un fulmine
l'amore e, dopo due settimane, la decisione di sposarsi subito,
che allarma fratello e amica che non capiscono tanta fretta, e
intanto provano a intessere una loro relazione adulterina. Il
secondo tempo è il ritorno a casa dal viaggio di nozze alle
Barbados, il rientro nell'appartamento di lui che all'improvviso
si ritrova davanti il ricordo della moglie e ha una crisi. Crisi
comprensibilissima, con un improvviso rifiuto allora di Jennie,
una schermaglia garbata e aspra assieme, con cose che sfuggono
dette anche pesanti, e lei che paziente accetta che lui scappi
coll'occasione di un lavoro dall'altra parte dell'America e
cerca di ricucire, di soffrire ma capire, anche quando a lui
sfugge qualche piccola, amara battuta fuori luogo. Il tutto
costruito con la grande abilità di Simon nel far nascere ogni
cosa dal dialogo e qui con una sensibilità che è nella verità
delle parole, restituita al meglio con misura e intensità nel
costruire i personaggi da Maria Vittoria Argenti e Aldo
Ottobrino, con cui sono il Leo superficialone e preoccupato di
Francesco Rotelli e l'agitata, impacciata Faye di Ilaria
Martinelli. Tutto questo nella difficoltà delle intelligenti,
quasi strutturali scelte registiche in relazione ai due tempi
del testo, con una recitazione straniante, nella prima parte
leggera, rivolta quasi più al pubblico che l'uno all'altra, e
con movimenti talvolta con l'affettazione di una marionetta,
sottolineando il meccanismo con la scelta di entrate e uscite
dai percorsi geometrici nella scena di Luca Baldini divisa
esattamente in due, ma senza separazioni, tra l'appartamento di
lui e quello di lei.
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