Aveva un fucile da caccia calibro 12 e una cinquantina di munizioni, ma senza avere mai conseguito il porto d'armi, Nathan Labolani, il diciannovenne di Apricale (Imperia), ucciso per errore con un colpo di fucile all'addome ieri da un cacciatore di 29 anni, di Ventimiglia, che lo avrebbe scambiato per una preda. Lo apprende l'ANSA in procura a Imperia.
La procura sta approfondendo le indagini per verificare se il fucile trovato accanto al giovane ucciso fosse il suo. Non è escluso che il giovane stesse a sua volta cacciando o se facesse parte di una delle due squadre pur non avendo il porto d'armi. Si cerca anche di ricostruire la esatta dinamica dell'incidente e in particolare di verificare i movimenti del giovane morto per capire se fosse o meno nascosto dietro a un cespuglio mentre era in corso la battuta di caccia, alla quale partecipavano una squadra di Camporosso e una di Perinaldo, due Comuni delle vicine vallate. Il cacciatore che ha ucciso Labolani resta indagato per omicidio colposo.
"Ho già detto tutto ai carabinieri, la verità è dai carabinieri. Il ragazzo non cacciava con noi". Lo dice all'ANSA Luciano Bacigaluppi, il capo squadra di cacciatori di Camporosso, che assieme a quella di Perinaldo, ieri, ha partecipato alla battuta di caccia al cinghiale nei boschi di Apricale, dove Nathan Labolani, 19 anni, è stato ucciso da un colpo di carabina. La vittima, aveva con sé fucile, munizioni e una tenuta da caccia. "Conoscevo Nathan, il papà e il nonno. E' stata una disgrazia - aggiunge Bacigaluppi -. Abbiamo cacciato a squadre congiunte con quella di Perinaldo. Saremo stati 25 o 26 persone, su un' area molto estesa con circonferenza di circa 3 km. In situazioni simili può capitare che una coppia di cacciatori si trovi anche a 300 o 400 metri di distanza da un'altra".Il caposquadra spiega che la caccia al cinghiale avviene a coppie: un passista attende la preda, un battitore spara. "Sappiamo sempre dove siamo tutti, ci sentiamo via radio". Una delle piste seguite dagli inquirenti è che Nathan stesse cacciando con un'altra persona.
"Mio figlio mi ha gridato al telefono 'papà, papà, mi hanno sparato nella pancia; mi hanno sparato nella pancia'. Poi è caduta la comunicazione". Sono parole di Enea Labolani, papà di Nathan, il giovane ucciso ieri per errore con una fucilata all'addome da un cacciatore. L'uomo spiega all'ANSA che stava andando al lavoro quando ha visto pompieri e carabinieri a bordo strada. Ha chiesto informazioni e ha scoperto che era stato ferito un ragazzo in un incidente di caccia così ha chiamato il figlio scoprendo la verità.
"Da quando ha compiuto diciotto anni, gli ho sempre detto 'devi essere responsabile delle tue azioni'. Non so se quell'arma che hanno trovato fosse davvero la sua, io certamente non sapevo che mio figlio la detenesse, ma ciò non cambia la realtà dei fatti ovvero che è stato ucciso un ragazzo con la vita ancora tutta davanti" ha anche detto il papà del giovane ucciso.
"Anche se mio figlio avesse avuto un fucile, non è stato lui a sparare. Nulla giustifica la sua morte. Avrebbe potuto avere un bazooka o una canna da pesca, ma nulla cambierà quello che è successo. Ora, voglio soltanto giustizia" ha concluso Enea Labolani.