"La timbratura in abiti succinti non costituisce neppure un indizio di illiceità penale e ha una sua spiegazione logica", tanto più che la "la funambolica opera di valutazione dei labili indizi di reato" non può rappresentare la base di un teorema accusatorio. Lo scrive il gup Paolo Luppi nelle motivazioni dell'assoluzione di Alberto Muraglia, il vigile che timbrava in mutande, divenuto simbolo dell'inchiesta sui furbetti del cartellino al Comune di Sanremo. Con lui, nel gennaio scorso, sono stati assolti altri nove impiegati L'inchiesta sfociò il 22 ottobre 2015, in un blitz in Comune che portò a 43 misure cautelari: 34 gli arresti domiciliari, 8 gli obbligo di firma. Tra gli indagati, 16 hanno patteggiato, quelli sopresi in flagranza di reato, come chi andava a fare la spesa o chi andava in canoa, 16 sono stati rinviati a giudizio, 10 sono stati processati nel gennaio scorso, tutti assolti.
Erano accusati di assenza ingiustificata in orario di ufficio.
Tra questi Alberto Muraglia. L'impostazione accusatoria è stata smontata dal giudice anche in base alle testimonianze dei dirigenti. Per quanto riguarda le timbrature effettuate da altri colleghi la sentenza spiega che "tutti hanno dimostrato che la timbratura effettuata con il loro budge da colleghi si accompagnava alla loro presenza in ufficio". Le motivazioni smontano l'accusa portata avanti su un impianto viziato da errori. Ne è esempio il caso di Muraglia. "Anche ammesso che talvolta il Muraglia abbia timbrato in mutande, non va dimenticato che le contestazioni mosse all'imputato erano di falso e truffa, non di atti osceni o di atti contrari alla pubblica decenza, questo giudice ritiene che la timbratura in abiti succinti abbia una spiegazione logica e non connotabile come indizio di illiceità". In un caso Muraglia aveva timbrato in mutando perché si era tolto la divisa dopo essere stato a dirigere il traffico sotto un temporale e una volta aveva ispezionato il piazzale del mercato mezz'ora prima dell'inizio del servizio.
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