"Se un giorno io potrò tornare, la
mia fronte potrò portarla alta, perché non arrossirò davanti a
nessuno": sono parole scritte dal magistrato lucano Nicola
Panevino alla moglie, Elena, in una delle ultime lettere scritte
prima di essere fucilato dal nazisti, nel marzo del 1945.
Una storia raccontata oggi - arricchita da un'intervista alla
figlia del giudice, Gabriella - nel volume "La scelta difficile"
(Edigrafema, collana DietroFront), scritto dal giornalista
Emilio Chiorazzo, anch'egli originario della Basilicata, che
vive e lavora in Toscana. Lucano, poi vissuto a Napoli, Panevino
finì a Savona, dove era giudice istruttore: dopo l'8 settembre
1943, aderì alla Resistenza, "con un ruolo di supporto politico,
pratico e logistico". Di radici cattoliche, aderì prima a
Giustizia e Libertà, poi al Partito d'Azione e divenne
componente del Comitato di liberazione nazionale "in una Savona
dove sospetti e delazioni si rincorrevano. Una di queste gli
causò il carcere, mentre era diventato padre da pochi mesi". In
cella, sopportò "ogni forma di tortura", anche grazie alla sua
"fede incrollabile".
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