Quasi la metà delle opere di
Modigliani sequestrate a Genova durante una mostra nel 2017 "non
avevano documenti che ne attestassero i passaggi di proprietà o
l'autenticità o se c'erano non sono stati esibiti". E' quanto ha
rilevato uno degli investigatori del Nucleo tutela patrimonio
dei carabinieri sentito come teste oggi nel corso del processo
per i presunti falsi dipinti di Modì esposti al Ducale. "Una
circostanza piuttosto strana per un mercante d'arte quella di
non avere le documentazioni", ha continuato il militare.
A processo, per truffa, falso e contraffazione di opere, ci
sono sei persone: Massimo Zelman, presidente di Mondo Mostre
Skira, che organizzò la mostra, Joseph Guttman, mediatore
originario dell'Ungheria con base a New York e proprietario di
molte delle opere sequestrate, il curatore della mostra Rudy
Chiappini, italiano trapiantato in Svizzera, Nicolò Sponzilli,
direttore mostre Skira; Rosa Fasan, dipendente Skira, Pietro
Pedrazzini, scultore svizzero, proprietario di un "Ritratto di
Chaim Soutine" che secondo gli investigatori piazzò come
autentico pur sapendolo falso.
Gli accertamenti scattarono nella primavera 2017, a mostra in
corso, dopo la denuncia del critico Carlo Pepi. Tra i
testimoni-chiave venne individuato l'esperto francese Marc
Restellini che puntò subito il dito contro Guttman. Le perizie
hanno stabilito che 20 opere, un terzo di quelle esposte, erano
false. Secondo gli investigatori, coordinati dal procuratore
aggiunto Paolo D'Ovidio, attraverso l'esposizione alla mostra si
voleva rendere autentiche delle opere false per acquisire una
maggiore quotazione e rivenderle a prezzi stellari nel
centenario (caduto lo scorso anno) della morte di Modì. Per i
legali degli imputati, invece, le opere sono autentiche.
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