Alcune delle opere di Modigliani sequestrate nel 2017 a Genova durante una mostra a Palazzo Ducale perché ritenute false sono "tremende porcherie", "copiate malamente da chi non sa disegnare", "non hanno nulla di Modì, del suo Dna, delle sue atmosfere". A dirlo è Carlo Pepi, il critico d'arte e collezionista toscano, sentito oggi come teste nel processo con sei persone accusate di truffa, falso e contraffazione di opere.
Gli imputati sono Massimo Zelman, presidente di Mondo Mostre Skira, che organizzò la mostra, Joseph Guttman, mediatore con base a New York e proprietario di molte delle opere sequestrate, il curatore della mostra Rudy Chiappini, Nicolò Sponzilli, direttore mostre Skira, Rosa Fasan, dipendente Skira, Pietro Pedrazzini, scultore svizzero, proprietario di "Ritratto di Chaim Soutine" che secondo gli investigatori piazzò come autentico pur sapendolo falso. I quadri erano stati sequestrati e la mostra aveva chiuso in anticipo.
Pepi è stato però contestato dai legali degli imputati che non lo riconoscono come esperto in senso stretto. I difensori hanno sottolineato come i giudizi espressi dal collezionista fossero basati solo su impressioni avute guardando foto su cataloghi.
Dopo Pepi, è stato sentito Christian Parisot, ex presidente degli Archivi Modigliani. Parisot ha spiegato di avere visitato la mostra di Genova e di avere avuto "momenti di difficoltà su alcune opere restaurate in maniera troppo intensiva, ma anche su alcune che il figlio di Kisling (pittore e amico di Modigliani) aveva indicato come false".
Secondo gli investigatori, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo D'Ovidio, attraverso l'esposizione alla mostra si volevano rendere autentiche delle opere false per acquisire una maggiore quotazione e rivenderle a prezzi stellari nel centenario della morte di Modì nel 2020.
Per i legali degli imputati le opere sono autentiche.
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