"Il ponte Morandi è stato solo un
iceberg di un sistema marcio. Ci sono troppi interessi in campo
e noi speriamo solo che la verità oggettiva diventi verità
processuale. Che la verità processuale abbia una corrispondenza
con la verità reale". La verità processuale è quella che si
aspetta Egle Possetti, portavoce del comitato Ricordo vittime
del ponte Morandi, alla vigilia dell'inizio del processo (7
luglio), per quelli che, secondo l'accusa, sono i responsabili
del collasso del viadotto della A10, avvenuto il 14 agosto 2018
causando 43 morti. Sono 59 le persone imputate, tra ex vertici e
tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava di
manutenzione e ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero
delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato. Le accuse,
a vario titolo, sono omicidio colposo plurimo, omicidio
stradale, crollo doloso, omissione d'atti d'ufficio, attentato
alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di
dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Per i pubblici
ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, buona parte degli
imputati immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non
fecero nulla. Aspi e Spea sono uscite dal processo patteggiando
circa 30 milioni.
"Abbiamo tanta aspettativa - continua Possetti - ma anche
tanta preoccupazione. Ci sono troppe parti civili che potrebbero
chiedere il riconoscimento delle loro ragioni in sede civile. Ci
vorrebbero norme che prevedano procedimenti diversi. Questo è un
processo che riguarda 43 morti, non è possibile che sia
appesantito, l'iter processuale deve andare senza intoppi mentre
così si allungano troppo i tempi e con il rischio che alcuni
reati si prescrivano".
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