Una carica di circa 1.200 testimoni
per il processo per il crollo del ponte
Morandi, collassato il 14 agosto 2018 causando la morte di 43
persone, che porterà ad allungare i tempi rendendo sempre più
concreto il rischio prescrizione per alcuni reati. Si va
dall'antropologo (che dovrà parlare "del sistema sociale" di via
Porro, la strada dove sorgevano i palazzi sotto il viadotto i
cui abitanti sono stati sfollati) all'ex premier Giuseppe Conte,
passando per gli ex ministri dal 1998 al 2018, ai tecnici, fino
a tutti i presidenti delle Commissioni Trasporti di Camera e
Senato. Il numero monstre emerge dalle liste testi presentate
dalla procura, dai difensori degli imputati e delle parti
civili. I giudici, che dopo la prima udienza del processo lo
scorso 7 luglio hanno rinviato al 12 settembre, dovranno però
decidere se accogliere tutte le richieste o se sfrondare
l'elenco. Un elenco che preoccupa la procura perché si
rischierebbe una dilatazione dei tempi. I primi reati, quelli
meno gravi, inizieranno a prescriversi a fine 2013. Era stato lo
stesso procuratore Francesco Pinto a chiedere "di rispettare i
parametri costituzionali della ragionevole durata".
Sono 59 le persone imputate, tra ex vertici e tecnici di
Autostrade e Spea (la società che si occupava della manutenzione
e delle ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero delle
Infrastrutture e funzionari del Provveditorato. Le accuse, a
vario titolo, sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale,
crollo doloso, omissione d'atti d'ufficio, attentato alla
sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi
di sicurezza sui luoghi di lavoro. Per i pubblici ministeri
Massimo Terrile e Walter Cotugno, buona parte degli imputati
immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non fecero
nulla. Aspi e Spea sono uscite dal processo patteggiando circa
30 milioni.
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