Si avvicina la sentenza per Massimo Bossetti, unico imputato per l'omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra, Yara Gambirasio. Nessuna perizia sul Dna trovato sul corpo della ragazza e che le indagini hanno attribuito al carpentiere-muratore di Mapello, in carcere dal 14 giugno del 2014, hanno deciso i giudici della Corte d'assise di Bergamo. Perchè "non è decisivo ogni ulteriore accertamento" per la decisione rispetto a quanto hanno potuto dire nel processo il lavoro del Ris che individuarono Ignoto 1, quello degli esperti dell'Università di Pavia che lo compararono a quello di Bossetti e ne stabilirono la sostanziale identità e, infine, quello dei consulenti della difesa, su tutti il biologo Marzio Capra che hanno cercato di insinuare i dubbi sulla prova scientifica.
Una decisione, presa dai giudici dopo alcune ore di Camera di consiglio, e che è interpretata in modo radicalmente opposta dai difensori e dai legali di parte civile ma che, oggettivamente, pone fine a un dibattimento cominciato nel luglio dell'anno scorso e durante il quale si sono succeduti decine di testimoni, numerosi colpi di scena e scontri talvolta oltre il fair-play tra le parti. Il pm Letizia Ruggeri potrà infatti cominciare la sua requisitoria, che si prevede senza sconti per un'accusa da ergastolo, il 13 maggio. Poi le parti civili, il 20 maggio i difensori dell'imputato, e un'udienza a metà giugno in cui i giudici, presieduti da Antonella Bertoja, potrebbero ritirarsi in camera di Consiglio per la sentenza.
"Superfluo" per la Corte anche l'accertamento, sempre chiesto dalla difesa, sul riallineamento temporale delle immagini delle telecamere di sorveglianza della zona attorno alla palestra da cui Yara sparì il 26 novembre del 2010 (ci sono alcuni minuti di scarto tra l'ora riportata nei frame e quella effettiva). Superflue anche le misurazioni fatte dal Ris sul furgone ritratto nelle immagini in rapporto ai luoghi per stabilire le dimensioni del mezzo che, per gli investigatori, è il Fiat Daily di Bossetti. Approfondimento, questo, che il pm voleva fosse acquisito nel dibattimento. Inutile, inoltre, dopo tanto tempo, le perizie sulle fibre dei sedili del furgone e la deposizione, chiesta dall'accusa e dalla difesa, di un anatomopatologo e di un entomologo per cercare di precisare, rispetto all'esito dell'autopsia, l'ora della morte e la durata della permanenza del corpo di Yara nel campo di Chignolo d'Isola. Va invece acquisita, come volevano gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, l'intera corrispondenza, con passaggi anche scabrosi, intercorsa in carcere tra Bossetti e una detenuta, Gina. Il pm chiedeva che fossero nel processo le lettere che riteneva più significative e che, secondo, l'accusa contenevano riferimenti 'hard' simili alle ricerche a sfondo sessuale trovate nei due computer in casa del muratore. "Conversazioni che devono essere contestualizzate - hanno detto gli avvocati - nell'ambito di una sofferenza affettiva di Bossetti a causa della detenzione e che contengono invece anche parole di dispiacere per la vittima e una ripetuta proclamazione di innocenza".
Nella decisione di non ammettere la perizia sul Dna, i difensori cercano di vedere il bicchiere mezzo pieno: "Bisognerà capirne le ragioni: i giudici potrebbero ritenere che una perizia non possa chiarire i dubbi che esistono su questo Dna e che rimangono tutti". Risponde uno dei legali di parte civile della famiglia Gambirasio, Enrico Pelillo: "Una decisione che conforta la nostra convinzione che questo processo fosse maturo per la fase decisionale, tant'è vero che non avevamo fatto altre richieste istruttorie. Anche se non ci eravamo opposti a quelle della difesa".
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