(di Gioia Giudici)
Sold out al Politecnico di Milano
per lord Norman Foster, uno degli architetti più celebri al
mondo, protagonista di un incontro organizzato dall'ateneo e
dalla rivista Domus, di cui il designer è Guest Editor 2024.
Al centro dell'intervento del designer inglese, in una
gremitissima aula magna, un tema da sempre centrale nella
visione dell'88enne archistar a cavallo tra due secoli, quello
del futuro. "Le città sono il nostro futuro, entro il 2050 due
persone su tre vivranno in città, dove si concentrerà il 90%
della ricchezza globale e che saranno responsabili del 70% di
emissioni di co2" ha esordito il barone dell'architettura,
introdotto dalla rettrice Donatella Sciutto e da Giovanna
Mazzocchi, presidente di editoriale Domus, spiegando che "noi
diamo forma alle città e loro a noi".
"Pensano alla città del futuro non possiamo prescindere da
infrastrutture e spazi pubblici collegate da una sorta di
'colla'. In questo caso Milano - ha notato l'architetto, che in
città ha curato il rifacimento di piazzetta Liberty e lo store
Apple - è un ottimo esempio, sono colpito dai tanti alberi
piantati negli ultimi anni, è di ispirazione per tante grandi
città, visto che presto ce ne saranno almeno altre 35". Non è
detto poi che una grande città sia meno sostenibile di una
piccola: "Stiamo costruendo una nuova sede di Jp Morgan a New
York che ospiterà ogni giorno 40mila persone, per questo - ha
spiegato - abbiamo organizzato una struttura che raddoppia lo
spazio utilizzabile. Per cui: è più sostenibile grattacielo o
edificio basso? dipende se l'architettura è buona o meno". "Se
vogliamo guardare avanti nel futuro - ha sottolineato ancora
Foster, che nella sua carriera ha firmato progetti come il
Millennium Bridge a Londra - dobbiamo guardare indietro nel
passato, come abbiamo fatto al British museum, recuperando
informazioni storiche che ci hanno rivelato che nel luogo del
nostro intervento già esisteva un cortile, proprio dove avevamo
pensato di crearne uno". Sempre parlando del rapporto tra
architettura e tempo, "la differenza tra un progetto e ciò che
viene costruito - ha notato - è che il secondo nasce già
obsolescente, mentre il design lavora su ciò che è ignoto per
renderlo visibile". "Non esistono limiti nel nostro ambito,
esistono solo - ha detto alla platea di studenti e appassionati
di design - creatività e talento".
"Chiunque oggi sia architetto - ha spiegato in un colloquio
con Walter Mariotti, Direttore Editoriale di Domus, ed Emilio
Faroldi, Prorettore Vicario Politecnico Milano - non può non
avere sperimentato nell'ultima decade enormi cambiamenti
tecnologici. Quando ho iniziato si usavano calamaio e inchiostro
per disegnare, il computer ci ha consentito di integrare e far
interagire sistemi complessi, oggi poi non si può prescindere
dalla questione climatica, l'importante è che funzioni la
sincronizzazione tra ciò che avviene nel mondo e la
consapevolezza sociale. Non penso che il ruolo dell'architetto
sia poi così cambiato con il nuovo millennio: abbiamo sempre a
che fare con un mondo reale, creiamo spazi, per quanto possiamo
discutere di digitale, alla fine abbiamo a che fare con un mondo
fisico".
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