"I pastori devono camminare con le proprie pecore e dunque io penso che ci sarò sabato al Family Day. Non per gridare contro qualcuno o per fare uno show ma per sostenere i valori in cui crediamo". Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, è uno dei vescovi che si sono maggiormente esposti in questi giorni a sostegno della mobilitazione cattolica di sabato al Circo Massimo.
Bregantini perché? "Il motivo nasce da ragioni etiche. Noi comprendiamo e rispettiamo le scelte individuali di ogni persona, anche nell'ambito delle scelte specifiche riguardanti le tendenze omosessuali ma accanto al rispetto della dimensione soggettiva c'è la custodia, direi appassionata, della dimensione oggettiva per cui riteniamo che la famiglia, basata sul matrimonio tra uomo donna, debba essere tutelata come dice la Costituzione".
Che altro vi preoccupa? "Non condividiamo l'atteggiamento di fondo della legge Cirinnà tanto più se diventa desiderio di equiparare quell'unione alla dimensione della famiglia. Ancora meno l'adozione dei figli del partner".
Se questo tema dovesse essere stralciato in un provvedimento ad hoc i vescovi potrebbero accettare il solo riconoscimento delle unioni? "Non credo. Parole come pietre sono state quelle del Papa di fronte alla Rota romana venerdì scorso, quando ha detto che non bisogna fare confusione tra la famiglia e altri tipi di unione. C'è una netta distinzione tra la parola matrimonio e la parola unione civile che è basata su una dimensione soggettiva. E' come se il Papa avesse chiarito che non si può stare a giocherellare, c'è un piano formale che deve essere salvaguardato per tutto ciò che ne consegue e su questo non si può tirare la coperta dei vescovi".
Lei dunque sarà in piazza sabato? "Io credo di sì e spero di sì, sarei favorevole a esserci". Ma come vescovi troverete una linea comune? "Credo che ci sia un crescendo di consapevolezza un po' in tutti, dopo l'intervento del Papa e dopo le manifestazioni di sabato nell'ambito del "Svegliati Italia" dove si è visto che gli obiettivi vanno ben al di là dei problemi specifici della Cirinnà qui si comincia a irrobustire un argine che è necessario alzare, ma non in senso polemico"
Non teme il rischio che emerga l'immagine della contrapposizione tra le due piazze, quello che molti nella Chiesa non vogliono? "La parola scontro non è opportuna, è la parola dialettica che è bella, voce e controvoce, non piazza contro piazza. La dialettica delle diverse voci è onesto che venga presentata alla società italiana. Noi non andiamo contro ma è doveroso che la nostra voce venga alzata come sabato è stata alzata un'altra".
E non vede nemmeno il rischio di incarnare quel vescovo-pilota cui il Papa ha detto no? "Un vescovo che partecipa non va a fare show, non va a gridare ma a sostenere dei valori e prega anche per questo. Sarà anche un momento di riflessione, è bello che come pastori ci si possa sentire vicini alla propria gente e che questa senta il calore del vescovo: non è che se arriva il vescovo la manifestazione è clericalizzata".
E' questo il segno del rovesciamento rispetto alla Chiesa di Ruini che guidò il Family Day del 2007? "Sì, è la vera novità rispetto a 8 anni fa coi Dico, ma direi che qui c'è anche una significativa differenziazione con il Family Day di giugno dove noi eravamo un po' assenti. Qui ci sentiamo più coinvolti perché siamo di fronte a una scadenza legislativa impellente, si vede una esperienza dell'episcopato che cresce con le proprie pecore, con la massima libertà, non cambia nulla se c'è o non c'è il vescovo, la Chiesa è più compatta".
Eppure non si è parlato d'altro che delle differenti sensibilità dentro la Cei sul Family Day: "Questo anche è vero. C'è. Ogni vescovo ha la sua sensibilità e l'umore della sua Chiesa va salvaguardato. Io non parlo a nome della Cei, io dico che da pastore ho maturato questa sensibilità, un altro pastore può dire io sto casa a pregare. C'è la massima differenziazione dentro a un unico obiettivo valoriale. Nessuno è costretto ad andarci personalmente ma nessuno è impedito". (ANSA)
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