(di Isabella Maselli)
Per oltre un decennio la famiglia
Jacobini avrebbe gestito la Banca Popolare di Bari falsificando
bilanci e ostacolando i controlli delle autorità di vigilanza,
Consob e Bankitalia, per la "persecuzione di interessi propri,
anziché di scelte nell'interesse dei risparmiatori". A poco più
di un mese dal commissariamento dell'istituto di credito barese
finito sull'orlo del crac, con perdite intorno ai 2 miliardi di
euro, tutti i presunti inganni sono finiti nero su bianco nelle
407 pagine di ordinanza di custodia cautelare che ha portato
Marco Jacobini, ex presidente, e il figlio Gianluca, ex
codirettore, agli arresti domiciliari per i reati di falso in
bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza.
I due "nella imminenza del commissariamento" avrebbero
trasferito circa 5,6 milioni di euro dai loro conti correnti con
assegni circolari e bonifici con "l'intenzione - secondo i
magistrati - di sottrarre i profitti illeciti ad eventuali
operazioni di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria".
Ai domiciliari è finito anche Elia Circelli, responsabile
della Funzione Bilancio e Amministrazione della Direzione
Operations, mentre Vincenzo De Bustis Figarola, ex
amministratore delegato e in passato dirigente anche di Banca
121 e Mps, è stato interdetto per 12 mesi.
Secondo il giudice che ha firmato gli arresti "la struttura
della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della
famiglia Jacobini" con l'ex presidente che, stando alle
rivelazioni di un dirigente sentito durante le indagini, era
capace di "governare la banca con lo sguardo". "Appare pertanto
necessario e urgente - dice il gip - impedire che tale potere
illecito impedisca il risanamento della banca con i devastanti
effetti sull'economia meridionale". Dagli atti emerge che,
nonostante la situazione di grave dissesto patrimoniale di BpB,
la famiglia Jacobini avrebbe percepito dal 2011 al 2017 compensi
per complessivi 10 milioni di euro e nel 2018 il solo Marco
avrebbe incassato redditi per oltre 3 milioni.
Nell'inchiesta della Gdf, coordinata dal procuratore aggiunto
Roberto Rossi con i sostituti Federico Perrone Capano e Savina
Toscani, sono indagate nove persone. La Procura, in tre anni di
indagini, avviate dopo la denuncia di un ex dirigente
mobbizzato, Luca Sabetta (le accuse di maltrattamenti ed
estorsione nei suoi confronti non sono state ritenute
sussistenti dal gip), ha raccolto le testimonianze di
dipendenti, coindagati e anche degli allora direttori generali
di Consob e Bankitalia, Angelo Apponi e Salvatore Rossi.
Buona parte dell'indagine riguarda l'acquisizione di Banca
Tercas e gli aumenti di capitale del 2014 e 2015 collegati a
quella operazione, della quale sarebbero stati nascosti i
rischi. E così per anni sarebbero stati "aggiustati" i bilanci
per "mantenere intatto il potere di gestione della banca a spese
degli azionisti", vendendo loro azioni diventate ormai
illiquide. "Quando abbiamo venduto le azioni abbiamo fottuto i
clienti" dice un ex direttore di filiale intercettato. In alcune
intercettazioni gli indagati parlano, a questo proposito, di
"numeri sbalorditivi, mostruosi", falsificati allo scopo di
"ritardare l'emersione delle perdite". Mentre Marco Jacobini e i
suoi figli si preoccupavano di agevolare alcuni clienti "amici",
aumentare i propri compensi e commentare gli articoli di stampa
sui problemi della banca come "attacchi politici alla famiglia
Jacobini", continuando ad ignorare le richieste degli organi di
vigilanza sul cambio di governance.
"E' come se avessimo una vela stracciata e vogliamo
affrontare il mare aperto, abbiamo provato a cucirla, ma abbiamo
messo l'imbastito. Il primo soffio di vento che arriverà che si
gonfierà la vela, si strapperà". Sono le parole intercettate di
un ex dirigente indagato, che sembrano l'epilogo della vicenda,
perché quella vela, poi, si è strappata davvero.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA