Ogni anno in Puglia sono 130mila i
ricoveri che potrebbero essere evitati se ci fosse una corretta
presa in carico dei pazienti da parte dei servizi territoriali.
Un errore che comporta uno spreco di quasi 390 milioni di euro
per le casse regionali. È uno dei dati contenuti nel report
realizzato dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri
(Fadoi) da cui è anche emerso che in Puglia il 15% dei ricoveri
è improprio perché il paziente che arriva in corsia, poteva
essere curato a casa accudito da familiari, oppure da chi si
occupa di assistenza domiciliare. Spesso manca comunicazione,
secondo la ricerca, tra i medici ospedalieri e quelli di base
che parlano tra loro solo nel 14% dei casi. Una incomunicabilità
che solo per il 7% dei medici potrà essere risolta dalla
creazione di ospedali e case di comunità a cui sono indirizzati
sette miliardi di euro del Pnrr.
In quasi la metà degli ospedali pugliesi, il 40% dei ricoveri
è causato dalla mancata presa in carico da parte dei servizi
territoriale che per il 33% medici internisti ospedalieri
pugliesi potrebbe essere risolta con una maggiore offerta di
assistenza domiciliare integrata mentre per il 7% sarebbe
necessaria una apertura più continuativa degli studi dei medici
di famiglia che solo nel 14% dei casi aggiornano il fascicolo
sanitario.
Il mancato aggiornamento fa sì che in otto casi su dieci i
pazienti arrivano in reparto senza che si sappia nulla dei loro
trascorsi in termini di salute. Ospedali e case di comunità,
inseriti nella riforma sanitaria, per il 30% degli internisti
non riusciranno a evitare ricoveri e accessi impropri ai pronto
soccorso mentre per il 49% di loro serve un provvedimento in
grado di fornire indicazioni precise su quali professionisti del
territorio e con quale modalità debbano lavorare nelle nuove
strutture. "A fronte di una maggiore richiesta di assistenza
sanitaria è necessaria una rimodulazione dell'offerta
assistenziale per rispondere alle nuove esigenze della
popolazione", dichiara Anna Belfiore, presidente Fadoi Puglia
convinta che "il modello più economicamente sostenibile sia
quello dell'assistenza domiciliare con ricorso
all'ospedalizzazione solo nelle fasi di acuzie di una
determinata patologia".
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