Ha ammesso tutte le colpe. Interrogata dalla gip di Tempio Pausania Caterina Interlandi, la zia del bambino di 11 anni segregato dai genitori nella sua stanza, in una villetta nelle campagne di Arzachena già ribattezzata degli orrori, ha confessato di essere responsabile di tutte le accuse che le muovono le pm Laura Bassani e Luciana Tarditi: era lei la 'regista' dei metodi educativi vessatori imposti dai genitori al loro figlio.
La donna, 41 anni, cognata del papà dell'undicenne, è stata arrestata lunedì sera dai carabinieri del reparto territoriale di Olbia con l'accusa di essere l'ispiratrice dei maltrattamenti subiti dal nipote. Assistita dall'avvocato Angelo Merlini, ha scelto di rispondere alle domande del magistrato, raccontando in presenza delle due pm cosa accadesse nella villetta.
Dopo l'interrogatorio, durato tre ore, la donna è stata riaccompagnata nel carcere di Bancali. Nei prossimi giorni sarà riascoltata dalle magistrate per chiarire meglio i diversi aspetti della vicenda Analizzando il contenuto dei telefoni cellulari dei genitori, gli investigatori dell'Arma hanno potuto ascoltare conversazioni e leggere messaggi che hanno convinto il giudice a emettere l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per la zia. Secondo quanto appurato dagli inquirenti, era lei che istigava e ispirava le azioni della mamma, spingendola a punire severamente il figlio, ritenuto troppo vivace e irrequieto. Le punizioni sistematiche, che venivano messe in atto da anni, consistevano nella segregazione in camera dell'undicenne, che veniva rinchiuso nella sua stanza per ore, al buio, senza il materasso, e con un secchio per fare i bisogni.
L'undicenne veniva anche percosso, e quando era lasciato solo nella camera gli venivano fatte ascoltare delle voci preregistrate che gli dicevano: "andrai all'inferno". L'intento era quello di spaventarlo a morte per renderlo buono e obbediente. Torture fisiche e psicologiche che il ragazzino ha descritto nel suo diario segreto. In tutta la vicenda assume dunque un ruolo dominante la zia: si comportava come se fosse lei la genitrice, tenendo i contatti con la scuola e gli altri ambienti di frequentazione del nipote.
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