Nel corso del primo semestre 2022 il valore dei beni prodotti in Sardegna e venduti all'estero è cresciuto del 61% sospinto dall'aumento dei prezzi nel settore dei prodotti petroliferi raffinati. Eppure, al netto della lavorazione degli idrocarburi, il semestre si è chiuso con una complessiva flessione dell'export regionale pari al -8,4%, il secondo risultato peggiore (dopo il Molise) tra le venti regioni italiane.
L'ultimo report del Centro Studi della Cna Sardegna evidenzia come la Sardegna sia una delle regioni italiane con la bilancia commerciale più squilibrata, circostanza dovuta anche alla elevatissima quota di import di materie prime per l'industria petrolifera. In un contesto di rapida ascesa dei prezzi all'import si amplia infatti il saldo tra import ed export arrivato a oltre 2,3 miliardi di euro di maggiori importazioni.
La flessione è da imputare quasi esclusivamente al crollo delle vendite di prodotti dell'industria metallurgica (-69%). Il settore petrolifero nel semestre ha totalizzato vendite all'estero per oltre 3,6 mld: più dell'85% del totale. Molto bene anche i prodotti chimici (+14,6% rispetto al 2021).
Tiene il mercato estero dei prodotti agroalimentari (+10%), soprattutto grazie al comparto vitivinicolo e a quello della pasta e dei prodotti da forno; prosegue, di contro, il trend di indebolimento della domanda estera delle produzioni lattiero casearie (-5,5% per l'export di formaggi e derivati), che ha compensato la crescita del prezzo dei prodotti sardi (il pecorino è arrivato, a giugno, a quasi 12 euro al chilogrammo, persino superiore a quello del parmigiano reggiano).
Nel primo semestre del 2022 le imprese sarde hanno importato dall'estero beni, prodotti intermedi e materie prime per oltre 6,6 mld (+69% sul 2021) "Il contesto di rapida ascesa dei prezzi all'import e i costi dell'energia e dei trasporti significativamente più elevati che le imprese sarde sostengono rispetto ai competitors rischiano di mettere fuori mercato pezzi importanti del tessuto produttivo isolano", spiega la Cna.
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