"Abbiamo toccato interessi enormi. Cosa Nostra si finanziava con i fondi europei, dopo che l'abbiamo messa in difficoltà ha reagito. Siamo certi che questo attentato viene dalle persone alle quali abbiamo fatto perdere un affare milionario". Giuseppe Antoci, 48 anni, non ha dubbi: alla guida dal 2013 del Parco dei Nebordi ha più volte subito minacce prima di scampare la notte scorsa ai colpi d'arma da fuoco di alcuni banditi che gli hanno teso un agguato mentre, a bordo della sua blindata, stava tornando a casa percorrendo la strada che unisce Cesarò a San Fratello. Nel 2014 il primo avvertimento: "Finirai scannato tu e Crocetta". Una lettera spedita da Catania il 7 dicembre e fattagli recapitare negli uffici del Parco, a Sant'Agata di Militello. Un anno dopo il centro di smistamento delle Poste di Palermo intercettò una busta con due proiettili diretti ad Antoci e al dirigente del commissariato di Sant'Agata di Militello, Daniele Manganaro. Ed è stato proprio Manganaro, che seguiva la blindata presa di mira dai banditi, a sparare e mettere in fuga gli assalitori.
"E' stata un'esperienza bruttissima. Se non fosse stato per la Polizia - dice Antoci - sarei morto. Voglio continuare ad andare avanti, non mi fermeranno". Una laurea in Economia e commercio, capo area in Sicilia della Banca Sviluppo, azienda di credito sorta nel 2000 e con sede in otto regioni, Antoci alle politiche del febbraio 2013 si candidò al Senato con "Il Megafono", movimento fondato dal governatore della Sicilia Rosario Crocetta; ma non venne eletto: l'unico candidato che fece ingresso a palazzo Madama fu Giuseppe Lumia. Dopo la breve esperienza elettorale, la Regione lo nominò nello stesso anno alla guida del Parco. Per il suo insediamento fu organizzata una cerimonia in piazza, a Sant'Agata di Militello, con l'allora assessore regionale al Territorio Mariella Lo Bello, passata poi alla Formazione e successivamente alle Attività produttive. Con Antoci alla guida dell'ente (dal 2005 senza presidente, aveva visto susseguirsi quattro commissari), nell'area dei Nebrodi si rompe quella sorta di "patto sociale" che andava avanti da decenni e che consentiva l'utilizzo per pascolo, a canoni irrisori, dei terreni demaniali. Alla rottura contribuisce non poco il giovane sindaco di Troina (Enna), Fabio Venezia, anche lui sotto scorta per le numerose minacce ricevute. Quando Troina si aggiunge agli originari comuni del Parco, porta "in dote" 4.200 ettari di terreni a pascolo che il primo cittadino rifiuta di concedere alle solite condizioni. Antoci trova un alleato e comincia la serrata verifica dei contratti. L'allargamento dei controlli (il Parco ha un'estensione di 86 mila ettari e comprende 24 comuni) e la richiesta di certificazione antimafia e dei carichi pendenti avviene anche per chi intende stipulare o rinnovare contratti di piccolo importo, e comunque ben al di sotto della soglia prevista per legge. Alcune concessioni di terreni vengono revocate e dai tribunali arrivano sentenze che inchiodano gli affittuari, che insieme ai privilegi concessori perdono anche i lauti finanziamenti dell'Unione europea, calcolati sugli ettari a disposizione. A fronte di una spesa di 30 euro ad ettaro per un terreno pubblico destinato a pascolo, chi ottiene la concessione dagli enti gode di un contributo di circa 3 mila euro a ettaro. Un "affare milionario" osteggiato dal presidente del Parco dei Nebrodi anche attraverso un protocollo di legalità firmato con la Prefettura di Messina. "Dobbiamo cambiarla tutti insieme questa terra - chiosa Antoci -. Non sto facendo niente di speciale. Sto facendo solo il mio dovere".
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