Successo indiscusso ieri sera al Teatro Massimo di Palermo per l'inaugurazione della Stagione 2020 con "Parsifal" di Richard Wagner, salutata da 11 minuti di applausi convinti. Per la prima volta a Palermo, l'orchestra è salita sul palcoscenico per i ringraziamenti, capeggiata dal direttore Omer Meir Wellber, che ha duramente lavorato con i musicisti, ottenendo quella luminosità che desiderava, e la giusta drammaticità, soprattutto nella sezione degli archi.
Nel primo minuto di spettacolo il regista Graham Vick coglie al cuore il significato del Parsifal, secondo Wagner: siamo in un teatro nudo, sul fondo le pareti formano un'abside, e sulla scena inclinata i cavalieri del Graal si inginocchiano. Ecco l'incipit del rito, perché la vera chiesa del compositore di Lipsia è il teatro, e lo spettacolo stesso è un rito e lì risiede tutta la speranza di salvezza. Poi Vick inscena un vero teatro di guerra e i cavalieri sono marines, con tute mimetiche, armati fino ai denti, in un territorio ostile confinante con il deserto, e siamo in Medio Oriente, con le donne interamente coperte di nero. Immagini ormai consuete, ché il mondo non ha mai smesso di fare guerra, ma Vick tiene il passo delle cinque ore di spettacolo, con mano ferma e con coraggio, come quando in mezzo ai cavalieri-soldati schierati, avanza Amfortas con un mantello rosso, e la corona di spine, come in una via crucis del primo cavaliere che è plasmato sulla figura di Cristo. Osa troppo? Forse, ma questo ha una sua coerenza, mentre le bellissime immagini in controluce, dietro un sipario bianco, nel III atto, raccontano la disperata via che deve ricondurre Parsifal al Monsalvat, dopo avere riconquistato la lancia che ferì Gesù al costato. Lì ci sono soldati che sgozzano donne e angeli che sparano ai fanciulli. Qui la coerenza se ne va, ma l'effetto ricercato era quello di un pugno allo stomaco per dar forza al finale dove i fiori della nuova primavera sono i bambini, il nostro futuro, quelli che veramente vanno salvati. Uno sforzo grandioso ricompensato dagli applausi, soprattutto per il Gurnemanz di John Relyea, il Parsifal di Julian Hubbard, che solo all'ultimo ha sostituito il titolare, Kundry di Catherine Hunold, impegnata nella scena della seduzione di Parsifal, dove Wagner anticipa Freud, e naturalmente l'israeliano Meir Wellber. E' passato inosservato un albero spoglio che Vick mette nel primo e nel terzo atto, quello è l'albero di "Aspettando Godot" di Beckett e ancora aspettiamo, secondo il regista, un Dio che metta fine a tutte le violenze.
Si replica fino al 2 febbraio.
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