"Ci sono film che non invecchiano
mai, pellicole che a rivederle a distanza di anni continuano a
piacerci come la prima volta, spesso diretti da registi di cui
è difficile scegliere quale sia l'opera migliore, quella da
inserire in cima ad una ipotetica classifica dei loro film più
belli", scrive Carmelo Franco, avvocato penalista palermitano
appassionato sin da ragazzo alla storia del cinema . E alla luce
di questa affermazione puntando la sua attenzione sul famoso
film con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant del 1962, ha
scitto il libro, in distribuzione in questi giorni, "A scuola da
Dino Risi Il Sorpasso e i suoi epigoni", per i tipi di Morlacchi
Editore, (92 pagine, 13 euro). "Sono passati oltre sessant'anni
dall'uscita in sala del primo road movie tutto italiano, come si
può oggi definire il film di Risi, ma che all'epoca era un
termine non ancora entrato in uso, nel nostro Paese come
altrove. Il filone dei film su strada, infatti, riceverà
consacrazione negli Stati Uniti e sarà riconoscibile come
genere solo alla fine degli anni Sessanta, con l'uscita di
pellicole quali Gangster Story (1967) e Easy rider (1969), e
quindi il film di Risi lo si potrebbe considerare anche uno dei
primi esemplari del nascente filone, almeno in itala", aggiunge
Franco.
Osserva il giornalista Ivan Scinardo nella postfazione: "Il
cinema di quegli anni trovò così un proprio stile, usando le
armi dell'ironia e della satira per raccontare la società del
tempo, in perfetto equilibrio tra la commedia all'italiana e il
dramma sociale. Nel libro non mancano i passaggi introspettivi
che l'autore narra, scandagliando i caratteri dei personaggi".
Per Davide Pulici, saggista italiano, fondatore, con Manlio
Gomarasca, della rivista di cinema di genere, Nocturno, che cura
la prefazione al libro:"Il sorpasso, ebbe le caratteristiche non
solo di una pietra d'angolo rispetto alle produzioni indigene,
ma di un archetipo, un palinsesto in grado di determinare
finanche imitazioni & ricalchi Oltreoceano,
ovvero in tutt'altro contesto storico e sociale. Il che depone,
quindi, per un valore universale della pellicola, che travalica
il qui e adesso italiota".
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