(RINO MESSINA: "LA RIVOLTA DI
PALERMO", ISTITUTO POLIGRAFICO EUROPEO, 188 PAGINE, 16 EURO)
L'8 luglio 1960 Palermo fu protagonista, come altre città, di
una rivolta popolare contro il governo di Fernando Tambroni che
aveva ottenuto la fiducia con i voti del Movimento sociale
italiano. Lo sciopero proclamato dalla Cgil venne represso dalle
forze di polizia con cariche e scontri che provocarono diverse
vittime. Quattro i morti di Palermo. Francesco Vella e Andrea
Gangitano persero la vita l'8 luglio; Rosa La Barbera, colpita
mentre chiudeva la finestra di casa, morì il giorno dopo. Il
giovane Giuseppe Malleo, 16 anni, si spense addirittura cinque
mesi più tardi. Numerosi i feriti tra manifestanti e forze di
polizia.
Il caso di Palermo, che aveva anche una matrice nel disagio
sociale dei ceti popolari e dei giovani dalle "magliette a
strisce", viene ricostruito ora da Rino Messina nel libro "La
rivolta di Palermo" edito dall'Istituto Poligrafico Europeo.
Messina, che è stato un magistrato della Procura generale di
Palermo dopo avere presieduto il tribunale militare, ha scritto
numerosi saggi su processi di rilevanza storica come quelli sui
Fasci siciliani e sulla rivolta del "Sette e mezzo" del 1866.
Il libro sull'8 luglio 1960 approfondisce le varie fasi del
processo contro una cinquantina di manifestanti quasi tutti
condannati fino in Cassazione. Messina propone una lettura
critica degli atti giudiziari e contesta l'impianto accusatorio
che avrebbe valorizzato oltre misura i rapporti di denuncia e le
dichiarazioni dei poliziotti. Le sentenze descrivono i
manifestanti come "teppaglia" e come appartenenti agli strati
sociali più bassi, "quasi tutti incolti (…) e privi di una buona
educazione familiare, dell'educazione scolastica, e forse anche
di quella religiosa". In questo modo, osserva Messina, le
responsabilità sono state "caricate per intero sulle spalle
degli imputati, cioè dei dimostranti".
A giudizio di Messina, si sarebbe cercato di riportare la
ricostruzione dei fatti a una visione parziale e controversa:
"La polizia tutta buona (…) e i dimostranti tutti cattivi". Ci
sarebbe dunque la possibilità di una rappresentazione degli
incidenti alternativa rispetto a quella giudiziaria.
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