Un esercito di 270.000 uomini, armato e addestrato dagli americani e dotato di copertura aerea, che si ritira davanti ad alcune migliaia di guerriglieri lasciando nelle loro mani alcune delle più importanti città del Paese. In molti si chiedono come sia stata possibile la fulminea avanzata dei miliziani dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis), arrivati a una sessantina di chilometri da Baghdad. E tra le spiegazioni plausibili vi é quella secondo cui i jihadisti hanno raccolto il sostegno di forze tribali, ex baathisti legati al regime di Saddam Hussein e almeno parte della popolazione sunnita, che accusa il premier sciita Nuri al Maliki di politiche discriminatorie.
Ad ammetterlo implicitamente é oggi uno dei principali quotidiani filo-governativi, Al Sabah, secondo il quale l'offensiva é stata decisa in una riunione ad Amman tra 13 fazioni sunnite anti-governative, compresi i rappresentanti dell'ex partito Baath di Saddam Hussein, messo al bando dopo la caduta del regime e oggi guidato dal suo ex vice Izzat Ibrahim al Duri, che vive all'estero da anni. Non é chiaro quanto siano attendibili le "fonti di Intelligence" citate dal giornale, che accusa anche Arabia Saudita e Qatar di avere fornito i finanziamenti per acquistare armi sul mercato nero. Ma l'articolo coglie il senso di malcontento e le recriminazioni di una comunità che si sente emarginata a partire dalla caduta del vecchio regime.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA