All'ospedale militare per la leva dichiara di essere gay; dopo qualche mese gli arriva l'avviso di presentarsi ad un'altra visita medica, questa volta per accertare se abbia i requisiti psico-fisici per guidare: la sua cartella era passata da un'amministrazione all'altra per quell'annotazione sulla sua sfera privata - "disturbo dell'identità sessuale", c'era scritto - e la patente gli era stata sospesa. Dopo un iter giudiziario lungo 15 anni, e il passaggio dinanzi al Tar e a due tribunali, la Cassazione riconosce che c'è stato "un vero e proprio comportamento omofobico", oltre che "intollerabilmente reiterato", da parte della pubblica amministrazione e ordina un risarcimento corrispondente alla "gravità dell'offesa".
I giudici hanno così accolto il ricorso di Danilo Giuffrida, catanese di 34 anni, che ha ingaggiato una battaglia legale con i ministeri della Difesa e dei Trasporti per violazione della privacy e discriminazione sessuale. Con l'avvocato Giuseppe Lipera aveva chiamato in causa le due amministrazioni chiedendo 500 mila euro di danni, il tribunale dispose un risarcimento di 100 mila, sulla base dell'effettiva grave violazione, che tra l'altro aveva indotto nel giovane un "sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato". Una cifra "esorbitante", invece, secondo la Corte d'Appello che ordinò il risarcimento per soli 20 mila euro, ritenendo che in fondo la violazione della privacy si era ridotta ad una comunicazione tra due amministrazioni, un "ambito assai ristretto", "non vi era stato pubblico ludibrio" e la vicenda era rimasta "riservata".
Con le sentenza depositata oggi (la n. 1126) la Terza sezione civile della Cassazione ha disposto il rinvio del caso, per riquantificare al rialzo la cifra, che dovrà essere stabilita da un nuovo tribunale d'appello, sulla scorta dei paletti già fissati dagli 'ermellini'. "Ma è vero? Non ci posso credere...", è la prima reazione al telefono di Danilo, protagonista di questa storia da quando aveva 20 anni, che poi commenta: "E' la vittoria della giustizia, nella quale ho sempre creduto. Non è la mia vittoria personale, ma di tutta la comunità: sarebbe potuto accadere a chiunque". Il diritto al proprio orientamento sessuale, "nelle sue tre componenti della condotta, dell'inclinazione e della comunicazione, il cosiddetto coming out", sono tutelati dalla Corte europea dei diritto dell'uomo sin da una sentenza del 1981 (Dudgeon contro il Regno Unito).
"Nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità del fatto, riconducendola ad aspetti endo-amministrativi", è innegabile - scrive la Suprema Corte - che "la parte lese sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che reiterato) comportamento di omofobia". E' quindi certa "la gravità dell'offesa", fatto rilevante per la quantificazione del danno. Soddisfatta l'Arcigay per "la sentenza importantissima" di cui "il Parlamento deve fare tesoro, calendarizzando quanto prima il dibattito sulla legge contro l'omotransfobia in Senato e offrendoci perciò la prospettiva concreta dell'entrata in vigore di quella legge", dice il presidente Flavio Romani.
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