Fra i primi a gettare un sasso nello stagno é stato John Simpson, leggendario inviato di guerra della Bbc. "Sospetto - ha twittato - che abbiamo assistito alla fine dei tabloid come arbitri della politica britannica. Sun, Mail ed Express hanno buttato tutto il loro peso dietro Theresa May e hanno fallito". Vero, ma parziale. E' l'intero circuito mediatico, non solo i popolarissimi tabloid, a dover fare forse un po' di mea culpa nel Regno Unito. Inclusi nomi autorevoli - aggettivo a volte abusato nel riferirsi a pur prestigiose testate anglosassoni - che per mesi avevano intonato il coro delle previsioni più granitiche sullo scontato trionfo della premier Tory; e sull'ancor più scontata disfatta del suo rivale laburista Jeremy Corbyn: vecchio pacifista di nicchia e residuo socialista del passato, nel giudizio tranchant d'un establishment che al dunque s'é rivelato più di nicchia di lui.
Non è, in effetti, il primo svarione elettorale commesso da quelli che taluni definiscono "i media mainstream" in giro per il mondo. Ma in Gran Bretagna ha colpito il tono apodittico riservato a un uomo che in fin dei conti ha condotto il suo partito alla maggiore avanzata percentuale da quando, nel 1945, Clement Attlee sfrattò Winston Churchill da Downing Street. Tono sfociato spesso - ben al di là delle critiche ai programmi di Corbyn o alla sua storia radicale - in scampoli di propaganda ostile. A dirlo sono ovviamente i 'corbynisti', come vengono chiamati con malcelato disprezzo (in assonanza a 'comunisti') i seguaci del 'compagno Jez'. Ma anche commentatori distaccati.
Mentre si fanno largo i primi 'pentiti': "Non ci aspettavamo di trovare in Corbyn un candidato così straordinario in campagna elettorale", ha confessato Andrew Marr, altra icona della Bbc.
Per avere un'idea del contesto, basta sfogliare qualche giornale sfuggito al destino di carta da imballo. O dare una scorsa agli archivi online. Il florilegio delle irrisioni é ricco, fino al limite della diffamazione. Gli 'epiteti' di "marxista" ed "estremista", sono costanti (e fra i più gentili) nella prosa della stampa destrorsa, paludato Telegraph compreso.
Il Mail va oltre e inchioda il leader del Labour come "terrorista" o "amico di terroristi". Il Sun di Rupert Murdoch, 20 anni fa blairiano, lo paragona, a urne aperte, a un bidone dell'immondizia. Eccessi di cattivo gusto da tabloid? Sì e no.
Nelle stesse settimane le maggiori tv del Regno danno spazio quasi solo a notabili laburisti anti-Corbyn: numerosi, per la verità, in parlamento, e quasi tutti oggi temporaneamente riavvicinatisi al leader 'riabilitato' con la rara eccezione di Chris Leslie, protagonista della disastrosa campagna di Gordon Brown nel 2010 che ora rimprovera a "Jeremy di non aver vinto".
Ma non finisce qui. Un free lance irlandese si è preso la briga di allineare in parata i commenti al vetriolo vergati per mesi da tante prime firme del Guardian, giornale liberal per antonomasia che pure alla fine l'endorsement a Corbyn l'ha dato (quando il vento dei sondaggi sembrava aver mutato direzione): opinioni legittime per carità, ma a senso unico e avventate. Col senno di poi, anche un filo comiche. Si parte dal momento in cui l'alfiere della sinistra interna entra in corsa per la leadership. "Se Corbyn viene eletto dal Labour, sarà la mossa più sconsiderata dal 1932", sentenzia Michael White. "Penoso e senza spina dorsale, Corbyn ci porterà alla rovina", fa eco qualche tempo dopo la 'zarina' progressista Polly Toynbee. Poi arriva un editoriale, é il 28 giugno di un anno fa, che incita alla rivolta nel partito contro Jeremy per "salvare qualcosa del Labour". A dicembre ecco Rafael Behr: "Jeremy Corbyn non sta guidando il Labour" da nessuna parte. A gennaio é Suzanne Moore a ribattere sullo stesso concetto. Il 5 maggio, il verdetto di Jonathan Freedland: "Basta scuse, questo caos é colpa di Jeremy Corbyn". E infine Nick Cohen, a un mese dalle elezioni: "Corbyn può frenare la valanga Tory in un solo modo, dimettendosi ora". Ha guadagnato, soprattutto fra i giovani, 3 milioni di voti.
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