"Che bisogno c'è dei particolari di uno stupro? Lo stesso bisogno che c'è dei dettagli di una tortura. Nessuno: una tortura è una tortura e basta, uno stupro è uno stupro e basta". E' da questa considerazione che Susanna Camusso è partita, quando negli ultimi mesi ha letto le cronache delle violenze contro le donne che si sono susseguite durante l'estate. Da qui, dal rigetto delle "parole usate come armi" e del linguaggio che colpevolizza le vittime invece dei carnefici, è nata l'idea di un appello e poi di una manifestazione in 100 piazze con lo slogan "Riprendiamoci la libertà".
Dal palco del raduno romano, la segretaria generale della Cgil ha insistito sulla "violenza delle parole" che "chiedono conto dei tuoi comportamenti quando qualcuno ti violenta, parole sull'abbigliamento, sulle strade che frequenti, sui tuoi orari". Parole "usate violentemente quando si parla di un immigrato, mentre invece si dubita delle parole delle donne quando gli autori sono in divisa o sono italiani" ha aggiunto con un chiaro riferimento ai fatti di Firenze e di Milano. "Perché lo stupro commesso da qualcuno è considerato più grave di quello commesso da qualcun altro? Non sanno di cosa parlano". "Qualcuno ha definito il nostro appello un'invettiva - ha detto la leader della Cgil - ed è vero. Gli appelli finora non sono serviti. Deve cambiare il modo di discutere di questi temi.
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