Un'eruzione vulcanica avvenuta
durante una tempesta di neve sul finire di maggio, che ha
generato un flusso piroclastico rimasto 'inosservato' per circa
10 giorni, fino a quando le condizioni meteo sono migliorate e
ai ricercatori è stato possibile accedere alle aree sommitali
del vulcano. Sembrerebbe letteratura ma è quanto è accaduto il
21 maggio del 2023 sull'Etna, come descritto nello studio "A
Hidden Eruption: The 21 May 2023 Paroxysm of the Etna Volcano
(Italy)" realizzato da ricercatori dell'Istituto nazionale di
geofisica e vulcanologia, delle università dell'Aquila e di
Cagliari e de la Sapienza di Roma.
"Il nostro lavoro, oltre a descrivere scientificamente
l'evento eruttivo che ha interessato il cratere di Sud-Est
dell'Etna, ha voluto richiamare l'attenzione sull'importanza e
sull'efficacia dei sistemi di monitoraggio da remoto dell'Ingv -
spiega Emanuela De Beni, vulcanologa dell'Osservatorio Etneo
dell'Ingv e co-autrice dello studio - infatti, nonostante il
cattivo tempo avesse oscurato le telecamere di videosorveglianza
installate sul vulcano, le altre hanno funzionato correttamente
e i segnali sono prontamente arrivati alla nostra sala operativa
di Catania, segnalandoci che era in corso un'eruzione con
fontana di lava ed emissione di due colate, una verso Sud e
l'altra verso Est".
Una settimana dopo ricercatori dell'Ingv si sono recati in area
sommitale per eseguire rilievi con droni e procedere alla
mappatura e quantificazione dei prodotti eruttati. "Ci siamo
accorti che un deposito di cui fino a quel momento non avevamo
avuto contezza si era in realtà sovrapposto alla colata di Sud -
prosegue De Beni - dopo attente indagini di terreno e analisi
sedimentologiche abbiamo scoperto che era una 'corrente
piroclastica di densità' ovvero un flusso di materiale magmatico
misto a gas ad alte temperature che era sceso ad alta velocità
dai fianchi del vulcano". Ai rilievi sul campo e via drone sono
state affiancate le analisi delle immagini satellitari e dei
dati radar degli aeroporti di Catania e Reggio Calabria da un
impianto sul Monte Lauro (Siracusa), nonché lo studio
approfondito del tremore vulcanico e dell'infrasuono forniti dai
sistemi di monitoraggio dell'Ingv. Tutto questo ha permesso di
ricostruire l'emissione di una colonna di cenere di altezza
compresa tra i 10 e i 15 chilometri, frutto di un'eruzione
suddivisa in tre fasi: una prima fase debolmente stromboliana,
una fase stromboliana vera e propria e, infine, una fontana di
lava.
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