"Far sollevare la spuma, poi abbassarla a un tratto. Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto": scriveva così Carlo Goldoni in una commedia, forse prendendo alla leggera l'impegno che ci vuole per fare un buon caffè. Dal chicco alla tazzina, la cultura di questa bevanda, per molti "rituale", è complessa, piena di segreti, leggende e tradizioni antiche, in cui molta parte occupa la creatività italiana. Una creatività che può diventare storia, come nel caso di Alfonso Bialetti, inventore, nel lontano 1933, della celebre Moka Express, la madre di tutte le successive e moderne evoluzioni della macchinetta del caffè. In omaggio a questo emblema del Made in Italy, arriva a Roma dal 1 al 12 ottobre la seconda tappa dell'esposizione 'La Moka si mette in mostra.
Un'intuizione geniale diventata mito', allestita alle Scuderie di Palazzo Ruspoli. Realizzata in collaborazione con Bialetti Industrie, dopo Roma la mostra girerà tutta l'Italia, fino ad approdare all'Expo di Milano, dove grande spazio sarà dato proprio al caffè. Un linguaggio semplice e accattivante caratterizza il percorso espositivo, che si configura come un vero e proprio viaggio nelle tradizioni legate al caffè, visto attraverso gli occhi della moka, oggetto iconico per eccellenza. Innanzitutto la scoperta della pianta e la sua diffusione, a partire dalla città di Al Mocha nello Yemen, dal XV al XVII secolo porto principale del commercio del caffè. Proprio in onore del luogo in cui il mito ebbe inizio, Alfonso Bialetti decise di chiamare Moka la sua macchinetta, la cui forma però ha un'altra fonte di ispirazione: fu la moglie dell'industriale (la testa, le spalle larghe, la vita stretta, il braccio sul fianco e la gonna a plissé) a dare le sembianze alla prima Moka Express, visibile nella mostra. Ma il percorso si configura tutto come un insieme di curiosità. C'è la leggenda della benedizione di Clemente VIII che, si dice, tolse alla fine del 1500 l'onta di 'demoniaca' a una bevanda di certo eccitante ma tanto gustosa, favorendone la diffusione in Europa; e poi le caffettiere storiche, molto simili ad alambicchi, provenienti dalla collezione privata di Andrea Moretto (oltretutto inventore della caffettiera più piccola del mondo, che produce una sola goccia di caffè); inoltre, le mappe con i Paesi produttori nel mondo e le pubblicità che, dagli anni '50 in poi, testimoniano per la Bialetti il passaggio da azienda a industria, grazie all'intelligenza di Renato, figlio di Alfonso. Fu merito suo (e della penna di Paul Campani) che nacque il testimone d'eccezione della Moka, il celeberrimo Omino coi baffi, il marchio che differenziava ogni macchinetta dalle imitazioni e che di fatto rappresentava proprio la figura di Renato. Che la pubblicità fosse l'anima del commercio, l'industriale lo capì subito e arrivò perfino a indebitarsi pur di aggredire il mercato con una comunicazione multicanale e originale nel linguaggio come nel messaggio. Ma riuscì nell'obiettivo, quello di rendere la caffettiera, da semplice oggetto di design italiano, un elemento imprescindibile della vita quotidiana: e da Carosello in poi, l'Omino coi baffi e la Moka sono diventati un cult dall'aspetto familiare, arrivando dapprima nelle case degli Italiani, poi in quelle di tutto il mondo.
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