E' una lotta impari quella che, da quasi tre decenni, il pianista e musicologo Francesco Lotoro combatte contro il tempo. Eppure molto è riuscito a fare per realizzare il suo sogno, o meglio la sua missione: salvare la musica composta nei campi di concentramento, sterminio e prigionia fra il 1933 e il 1945. L'obiettivo è riuscire a farlo prima che l'oblio inghiotta tutto senza lasciare più traccia di quella bellezza che fu un atto di resistenza e di dignità di fronte alla cieca barbarie nazista. "C'è l'urgenza del ritrovamento, ma non per me: è per l'umanità intera", dichiara Lotoro in un'intervista all'ANSA.
"Onnivoro e curioso delle novità": così si definisce, ma "lo è ogni musicista", dice quasi schernendosi. E' per questo che ha iniziato a cercare "inizialmente solo musica composta da ebrei", per poi allargare la forbice eliminando distinzioni di nazionalità e religione per arrivare a "tutta la musica, scritta da chiunque in cattività". E proprio i brani che ha salvato saranno i protagonisti assoluti del concerto "Tutto ciò che mi resta. Il miracolo della musica composta nei lager" in programma il 26 gennaio, alla vigilia del Giorno della Memoria, all'Auditorium Parco della Musica di Roma: una serata evento che vedrà la partecipazione di artisti del calibro di Ute Lemper, Francesca Dego, Marco Baliani. "La mia non è un'operazione di mera archeologia musicale - precisa - io trovo le composizioni, le registro e in molti casi le completo". Parla in modo pacato ma fermo, conscio di essere il protagonista di un'operazione epica, forse più grande di lui, nella quale ha speso la sua intera carriera di musicista, ma soprattutto se stesso. Viaggi, studi, ricerche, incontri con i sopravvissuti ai lager. E poi di nuovo, in un cerchio che non riesce a chiudersi per una ricerca incessante e spasmodica che sembra non avere fine: "Ho incontrato tanti sopravvissuti, ma ormai sono pochi, oggi è il momento dei loro figli o nipoti - racconta -. Mi è capitato che un sopravvissuto magari non ricordasse subito una vecchia melodia, poi parlando invece gli tornava in mente: e io ero lì a trascriverla".
In un eterno andirivieni l'artista, convertitosi alla religione ebraica nel 2004, ha vissuto gli ultimi 30 anni nella sua Barletta, la città dove è nato e vive e in cui ha sede il suo "quartier generale". Nella casa che divide con la moglie Grazia trovano posto spartiti, manoscritti, diari, fogli, dischi, microfilm e supporti vari: ci sono le composizioni scritte da sacerdoti e monaci benedettini e francescani, la musica composta per le marionette, i brani dei Quaccheri e della comunità Baha'í. E poi ancora la musica tramandata oralmente dal popolo romanì, quella della comunità sufi, o quella composta dai militari di tutte le nazionalità.
"Durante il conflitto il mondo intero ha provocato l'apertura di campi di prigionia - spiega - e il mio obiettivo è mappare tutti i Paesi". Un lavoro certosino per dare ordine e rendere omaggio a un patrimonio dal valore immenso, in parte ancora sconosciuto: "Ho ancora 13 mila documenti da decifrare", rivela, esprimendo rammarico perché a volte le forze non bastano.
Soprattutto quelle economiche, dal momento che, non avendo finanziamenti su cui contare ("soltanto la regione Puglia da 10 anni, poi qualche donatore dall'estero e le persone vicine, come il mio Rabbino e l'editore Franco Bixio", racconta), ha sostenuto da solo tutte le spese perché "bisogna comprare tutto, e i prezzi variano". "La prima volta che partii per Praga portai una valigia e tornai con due, piene stracolme di spartiti", dice tornando indietro con la memoria. "Ora passo in rassegna musei, memoriali, cerco materiale sul web ma non basta. Scopro molto durante i viaggi, anche dagli antiquari che hanno materiale non censito". E come in un film di spionaggio rivela di avere anche "degli informatori che mi avvisano se trovano qualcosa". "La musica è un fenomeno sociale: ecco perché è un'arma potente e può annichilire il nemico - sottolinea -, nei lager di fronte ai soprusi o ci si ribellava, con il rischio di una carneficina, o si reagiva cantando: davanti alla musica i militari spesso non reagivano". E il Giorno della Memoria, che valore ha oggi? "Forse lo capirà davvero la prossima generazione, per noi è ancora un cantiere aperto - conclude - ma dobbiamo estendere la memoria abbracciando tutti gli aspetti della deportazione per celebrare la grandezza dell'ingegno umano e l'esplosione di creatività che l'umanità ha scatenato nonostante la Shoah".
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