Dopo 15 anni di blog, Andrew Sullivan getta la spugna: il giornalista inglese che all'inizio del millennio rivoluzionò i media americani dando dignità al "diario online", non più i fatti separati dalle opinioni ma un monologo/dialogo continuo con i lettori, ha deciso di smettere. Così, quasi di punto in bianco, Sullivan ha annunciato che "a breve" lascerà "The Dish", la testata online con cui due anni fa si era "messo in proprio" rastrellando 30 mila abbonati e incassi per un milione di dollari. "Voglio tornare a vivere nel mondo reale", ha detto il pioniere dei blogger, spiegando tra l'altro di aver avuto problemi di salute legati allo stress di dover star sempre online.
Gay, cattolico, thatcheriano e poi neo-con ma transfuga nelle file democratiche dopo il flop della guerra in Iraq, Sullivan aveva appena 28 anni quando nel 1991 fu chiamato alla direzione di New Republic, la rivista d'obbligo nelle mazzette dei palazzi di Washington. 15 anni fa, assieme ad altri blogger i cui nomi suonano remoti come Kausfiles, Instapundit, Asparagirl, tutti seguiti dal suffisso .com, aveva dato addio alla carta stampata popolarizzando la formula del diario sfogo, zeppo di collegamenti ipertestuali, cassa di risonanza dell'attualità in tempo reale. "Al loro meglio i blog offrono un'affascinante finestra su fatti e opinioni che altrimenti sarebbero sfuggiti al lettore", aveva reso omaggio al nuovo trend il britannico 'Financial Times'.
Ora però Sullivan ha deciso che basta: "Voglio tornare a leggere libri, frequentare amici, la mia famiglia, inventare di nuovo qualcosa di nuovo". In parte l'addio è per motivi di salute "non collegati" al suo essere sieropositivo, quanto piuttosto alla cascata di "malini" legati alla famigerata "blogger fatigue" sempre in agguato quando il dovere di aggiornare continuamente il blog invade la vita. L'annuncio ha scatenato illazioni sulla morte del blog: "Era un mondo già in via di estinzione, ora è finito", ha commentato il collega di MSNBC Benjy Sarlin. Se il blog in sé forse non è morto, certo è che sta attraversando pesanti scosse di assestamento. Al New York Times, dove il concetto per anni era stato abbracciato con entusiasmo costringendo giornalisti e columnist a raddoppiare gli sforzi reinventandosi in rete, negli ultimi mesi metà dei blog sono finiti su un binario morto: "Continueremo a fornire contenuti con un tono più colloquiale, solo non sarà più nel formato tradizionale dei blog", ha spiegato il vice direttore Ian Fisher a Poynter, un sito specializzato in questioni editoriali.
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