La resistenza dei corpi contro le leggi del mercato. Il mondo grigio, ma dignitoso di Thierry (un gigantesco Vincent Lindon), operaio disoccupato che accetta a un certo punto un lavoro indecente che mette 'poveri contro poveri'. Ma nonostante questo l'uomo applica la sua piccola resistenza. Questa la storia di 'La Loi du Marché', film francese di Stephane Brizé, in concorso al Festival di Cannes, applaudito alla prima stampa di stamani. Girato volutamente dal regista come il più piatto dei documentari, il film racconta di una famiglia proletaria, quella di Thierry, composta da un accogliente moglie (Karine de Mirbeck) e da un figlio adolescente con disagi psichici (Matthieu Schaller). Insomma una casa dignitosa, per quanto povera, per quest'uomo, già impegnato sindacalmente prima di perdere il posto. Un uomo che, nonostante abbia la faccia da loser, non ha rinunciato dentro di sé a combattere. Ma dopo un lungo periodo di disoccupazione, alle prese con i rifiuti delle banche, il calvario degli uffici di collocamento e l'esigenza di vendere le sue cose più amate, come la roulotte piena di ricordi familiari, Thierry si piega alle leggi del mercato e accetta di fare il vigilante in un mega-supermercato. Suo compito, quello di individuare chi ruba e metterlo alle strette con la minaccia di chiamare la polizia. Si ritrova così come in uno specchio, a braccare se stesso, quelli che come lui sono in difficoltà e non ce l'hanno fatta. Nonostante sia un film non certo nuovo per tema, in La Loi du Marché fanno la differenza il modo di girare e Vincent Lindon che, con la sua interpretazione, si candida a tutto diritto nella rosa dei candidati alla Palma come miglior attore.
"Ho filmato su tutti Vincent Lindon, come un boxeur alle corde" dice il regista in conferenza stampa. Quando giro il film "cerco di rappresentare la realtà nel modo più fedele possibile. Anche per questo ho scelto volutamente il confronto tra un grande attore, come Lindon, e attori non professionisti". Più che un film politico, spiega Brizé, "si tratta solo di raccontare un uomo che dopo 25 anni di lavoro in un azienda viene mandato via perché i padroni hanno deciso di trasferire la fabbrica da un'altra parte. Non lo mandano via perché lavora male, ma solo perché vogliono guadagnare più soldi. Thierry è solo il viso sulle cifre dei movimenti finanziari di cui abbiamo notizia tutti i giorni". Dice invece Lindon, attore nato nell'alta borghesia letteraria di sinistra: "Questo film non è stato pensato come politico. Il regista non vuole convincere nessuno, ma chi ha visto il film dice di essersi ricordato di essere di sinistra. La Loi du Marché parla solo della dignità di classe". Non è d'accordo invece l'attore sul fatto che in questa edizione del Festival di Cannes ci siano pochi film d'impegno politico: "Fremaux ha mostrato di essere stato coraggioso. Basti pensare solo al film d'apertura 'La Tete Haute' di Emmanuelle Bercot e a quello di Jacques Audiard (Dheepan). E questa è una buona cosa. La mia idea personale di cinema - conclude Lindon - è che i film che davvero restano nella storia del cinema sono quelli che raccontano il sociale. Basti pensare a quelli di Chaplin, a Lubitsch e, per quanto riguarda il presente, a quelli dei fratelli Dardenne".
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