(dell'inviata Silvia Lambertucci)
Una grande edicola per il culto dei
Lari, custodita da una coppia benaugurante di sinuosi serpenti,
un pavone solitario che fa capolino nel verde, fiere dorate in
lotta con un cinghiale nero e brutto come i mali del mondo. E
poi ancora, cieli baluginanti dove prendono il volo delicati
uccellini, un pozzo, una grande vasca colorata, il ritratto di
un uomo con la testa di cane.
Visitato in esclusiva dall'ANSA, con gli archeologi e i
restauratori ancora al lavoro tra i tubi innocenti che
sostengono le millenarie murature, eccolo l'ultimo tesoro
restituito da Pompei. Un piccolo, straordinario, giardino
incantato emerso incredibilmente integro dalla coltre di pomici
e lapilli che lo aveva sepolto quasi duemila anni fa, i colori
abbacinanti, le figure così belle che quasi appaiono vive in un
gioco continuo tra illusione e realtà. "Una stanza meravigliosa
ed enigmatica che ora dovrà essere studiata a fondo", sottolinea
appassionato il direttore del Parco Archeologico, Massimo
Osanna.
La presenza del maestoso larario, il più grande fino ad ora
mai scoperto a Pompei, offre certezze sul fatto che questo
giardino, che all'epoca era forse in parte coperto da tettoie,
fosse un luogo domestico dedicato al culto dei Lari, nel mondo
romano di allora insostituibili protettori della casa e della
famiglia. Sotto alla grande edicola, dove gli archeologi hanno
ritrovato intatta anche una lucerna di bronzo, lo testimonia la
raffinata ara dipinta sul muro, con le offerte appena immolate
al fuoco, una pigna, due grandi uova, succulenti fichi e datteri
colore dell'oro. E la conferma arriva dall'arula in terracotta
che è ancora lì, poggiata come duemila anni fa ai piedi di
quell'edicola, con i resti carbonizzati delle offerte bruciate,
chissà, forse proprio nelle ore drammatiche che hanno preceduto
l'arrivo della lava e della furia piroplastica.
Ancora un mistero, invece, resta chi fosse il proprietario di
questa casa, che si trova a pochi metri da un'altra ricca
abitazione, quella di Marco Lucio Frontone, e che certo doveva
essere grande e decisamente opulenta, come dimostrano i numerosi
ambienti scavati nell'800 oggi purtroppo spogliati di tutto, le
mura glabre ridotte a scheletri muti dello sfarzo che fu. "Forse
un ricco commerciante, senz'altro una personalità raffinata e
colta", ipotizza Osanna. Certamente un uomo in grado di pagare
le migliori maestranze e di commissionare per il suo giardino
pitture che non avevano uguali nelle altre domus della città,
pure in quel periodo della vita di Pompei, l'ultimo, nel quale
l'Oriente era decisamente di moda e nelle case più ricche era
tutto un tripudio di frutti e di animali esotici. Tutte cose che
si ritrovano nel giardino incantato, ma sempre, sottolinea
l'archeologo, con qualche particolarità che fa di questa stanza
a cielo aperto un "luogo decisamente unico".
Nuove sorprese ora potrebbero arrivare dallo scavo delle
stanze che si affacciavano su quel giardino, dove solo la grata
di una finestra impastata di lava e di detriti resta il memento
drammatico dell'apocalisse arrivata dal Vesuvio. Intanto anche
gli operai nel cantiere si muovono felpati, emozionati da
quell'esplosione di colori, da quegli animali fantastici che
sembrano strizzare l'occhio da un'altra dimensione. "Vederli
emergere dalla coltre di pomice che mano mano veniva rimossa è
stato incredibile anche per noi", racconta fermandosi un attimo
uno di loro.
Tutt'intorno, a un passo dai turisti che come ogni giorno
sciamano a frotte tra i vicoli, questo pezzo di Pompei è oggi un
grande cantiere. Con gli operai che scavano, i muletti che
trasportano montagne di terra e pietrisco, ingegneri e
architetti che vigilano su ogni movimento. "Tutto per mettere in
sicurezza la millenaria città", ricorda Osanna. La scoperta
della casa del giardino incantato, sorride guardandosi attorno,
"è un tesoro inaspettato che viene da qui". Alle volte è così,
prendersi cura della storia può fare miracoli.
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