Dopo mesi di polemiche che hanno coinvolto i maggiori Festival europei, da Cannes a Venezia, il ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli prende posizione nello scontro fra distributori cinematografici e Netflix sulle finestre temporali di sfruttamento dei film italiani dal grande al piccolo schermo: "Mi accingo oggi a firmare il decreto che regola le finestre in base a cui i film dovranno essere prima distribuiti nelle sale e dopo di questo su tutte le piattaforme che si vuole", annuncia in un videomessaggio inviato alla presentazione a Roma di una ricerca Agis/Iulm. Mentre sottolinea l'importanza di "assicurare che chi gestisce una sala sia tranquillo nel poter programmare film senza che questi siano disponibili in contemporanea su altre piattaforme". Secondo Bonisoli, il decreto consentirà "ai gestori dei cinema di sfruttare appieno l'investimento per migliorare le sale".
La decisione riaccende un dibattito già protagonista in maggio a Cannes, dopo la decisione del delegato generale del Festival, Thierry Fremaux, di escludere i film di Netflix dal concorso, perché la piattaforma non prevedeva l'uscita in sala prima di quella in digitale. E il tema è tornato caldo a Venezia, dove il direttore Alberto Barbera ha lasciato invece le porte aperte tanto che a vincere il Leone d'oro è stato proprio un film di Netflix, Roma di Alfonso Cuaron. Ma non sono mancate le proteste veementi, soprattutto per l'uscita in contemporanea su Netflix e in sala di uno dei film italiani più attesi della Mostra, Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, sul caso Cucchi. Ora il decreto attuativo della legge cinema 2016 voluto da Bonisoli, che riguarda solo i film italiani, impedisce nuove sovrapposizioni, certificando come norma la prassi adottata finora (è la stessa in Germania) di 105 giorni come lasso di tempo riservato alla programmazione in sala di un film, a partire dalla prima proiezione. Un termine temporale che nel decreto, però sotto specifiche condizioni, si può anche ridurre: a 10 giorni, se l'opera è programmata in sala per un numero di giorni, diversi dal venerdì, sabato, domenica e giorni festivi, pari o inferiore a tre; a 60 giorni, se l'opera è programmata in meno di 80 schermi e dopo i primi 21 giorni di programmazione ha ottenuto meno di 50 mila spettatori.
Per il sottosegretario Mibac Lucia Borgonzoni le regole proposte dal decreto "mirano a venire incontro alle esigenze dei film italiani che non riescono a rimanere in sala per un tempo sufficiente o che non incontrano un riscontro di pubblico soddisfacente". Positivi anche i pareri di Francesco Rutelli presidente dell'Anica, secondo cui è "un buon accordo tra tutte le componenti della filiera del Cinema italiano" e di Carlo Fontana presidente dell'Agis: "evitare la concorrenza sleale e rilanciare il cinema come elemento di promozione della cultura è una richiesta che facciamo da tempo e finalmente si è trovata una soluzione che salutiamo con grande piacere". Mentre l'Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac) apprezza nel decreto la "centralità della sala". Il cinema si conferma la forma di spettacolo preferita dagli italiani anche nella ricerca Agis/Iulm: nell'ultimo anno il 97% degli spettatori si è recato almeno una volta in una sala e il 94% si dice soddisfatto della qualità delle strutture. Tuttavia, la frequenza resta bassa: solo il 20% va al cinema due o più volte alla settimana. Bonisoli intanto ha in cantiere anche un rilancio della stagione cinematografica estiva: "Stiamo lavorando con produttori e distributori - ha detto - affinché la prossima sia la vera prima estate del cinema italiano con grandi blockbuster che escono già da agosto".
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