E' tornata a casa la Penelope di Persepoli, e con lei hanno trovato posto, nel Museo Nazionale di Teheran, anche le tre copie romane conservate nei musei Vaticani e Capitolini. Le aveva fatte incontrare la Fondazione Prada a Milano, inaugurando il 9 maggio la nuova sede con l'esposizione Serial Classic. Da oggi sono in mostra nella capitale iraniana, inaugurata nel pomeriggio dal ministro di beni culturali e turismo Dario Franceschini e intitolata con un nuovo nome, 'Lady of Peace'.
Perché il progetto ideato da Salvatore Settis ritrova qui a Teheran non solo il filone tematico della serialità dell'arte classica - cui solitamente si guarda come a un insieme di capolavori unici, ma in cui già esisteva la tendenza a creare varie copie - ma anche un coronamento simbolico che va oltre la sua stretta valenza culturale.
Se infatti il progetto espositivo si è sviluppato nella fase più critica delle sanzioni internazionali contro l'Iran, la Penelope persepolina torna in patria quando l'accordo sul nucleare ha già aperto le porte alla cooperazione con Teheran.
Ma c'è anche un'altra ragione, intrinseca alla storia di questa Penelope, che ha spinto ad associarla ad un messaggio di pace.
L'ipotesi privilegiata dall'ideatore del progetto, Salvatore Settis, è infatti che la statua sia stata, nella metà del V secolo a.C., un pegno di pace tra le civiltà belligeranti di Grecia e Persia.
La statua, ha osservato Settis parlando con l'ANSA a Teheran, "avrebbe dovuto fare un viaggio tanto lungo, per mare e poi su terra, proprio per suggellare una accordo di pace".
Certo, un'ipotesi non dimostrabile, ha proseguito, ma che si combina singolarmente con il contesto politico presente, tanto da far assegnare a Penelope l'attributo di 'Signora della Pace'.
Quanto al suo rapporto con le altre tre copie romane, è anch'esso un giallo. Sepolta tra le rovine del palazzo di Persepoli ad opera di Alessandro Magno nel 331 a.C., fu ritrovata solo nel primo Novecento. Non poteva dunque essere lei l'originale delle tre copie, del I-II secolo d.C., ma probabilmente un'altra statua gemella realizzata nello stesso laboratorio greco. Due i misteri dunque custoditi in questi busti, uno solo dei quali si mostra integro, grazie ad un restauro, a completare il gesto della pensosa attesa di Penelope per il suo Ulisse. Ma il loro essere qui - in quella che è anche la prima mostra di arte greco-romana a Teheran - è stato il punto di arrivo di due anni di impegno congiunto della Fondazione Prada e dei ministeri degli esteri e dei beni culturali, fino all'accordo con le autorità iraniane. Le quali hanno sposato il progetto milanese a condizione che vi fosse anche questo corrispettivo iraniano.
Analogo impegno è giunto anche dai musei vaticani, che hanno subito dato il via libera alla trasferta nonostante la fragilità delle loro due statue, e dai musei capitolini per la terza. A sottolineare come, osserva il responsabile delle mostre dell'istituzione vaticana Andrea Carignani, vi fosse "il desiderio di contribuire ad un progetto il cui valore era anche quello di avvicinare due popoli, cosa che accade proprio quando altrove arte e cultura vengono distrutte".
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